Un ecosistema (di monetizzazione) sostenibile

Questo grafico è davvero molto importante e al tempo stesso molto interessante.

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Si trova all’interno di un documento che parla di monetizzazione di contenuti editoriali ed è l’immagine che lo chiude. È preceduta da questa dicitura (la traduzione-riadattamento è del sottoscritto):

Creare un ecosistema sostenibile dove vincono tutti

«Le strategie di monetizzazione possono variare da piattaforma a piattaforma, da editore a creatore di contenuti, ma quando ti concentri sul mettere al primo posto le persone, contribuisci a costruire un ecosistema sostenibile, dove tutti vincono – persone, inserzionisti, creatori e editori di contenuti».

Chi può avere una visione simile? Spoiler: Facebook.

Ora, se riesci a tollerare che queste affermazioni appartengano alla filosofia della piattaforma più odiata al mondo negli ultimi mesi (almeno, da parte della stampa mainstream e di altre fattispecie di odiatori che pure mantengono in vita con gioia profili Instagram e chat su WhatsApp) e se riesci a parlarne senza che ti si chiuda la vena, è il momento di osservare insieme il ciclo proposto da Facebook in tema di monetizzazione dei contenuti (digitali) attraverso la leva pubblicitaria.

Come saprai leggendo Wolf e frequentando la nostra comunità di lettori e abbonati, Slow News crede molto in un modello di business che faccia a meno della pubblicità, in gran parte anche come reazione agli errori commessi dalle testate digitali che, pur di massimizzare gli introiti sul breve periodo hanno perseguito la logica del click ad ogni costo. Ma poi perché è molto difficile tutelare contemporaneamente gli interessi di una testata, dei suoi lettori e dei suoi investitori pubblicitari.

Ciò non toglie che da queste parti siamo convinti anche del fatto che ci possano essere vie interessanti per far convivere in contenitori editoriali contenuti giornalistici e contenuti pubblicitari ad alto valore aggiunto (con la cosiddetta pubblicità nativa, per esempio). Se, per esempio, editori e creatori di contenuti abbandonassero l’ossessione per la quantità e per i click e seguissero questo schema, i risultati potrebbero essere sorprendenti.

Il loop è talmente semplice da sembrare ovvio. Parto, per mettere al centro le persone, dalle loro esperienze positive

  • se anche gli annunci pubblicitari sono rilevanti, contestuali, interessanti per le persone, allora queste persone avranno esperienze positive dell'”ambiente” che frequentano
  • se una persona ha un’esperienza positiva rispetto a un determinato “ambiente”, anche gli inserzionisti che hanno investito in quell’ambiente ne beneficeranno
  • se cresce la fiducia degli inserzionisti, allora aumentano gli investimenti
  • se aumentano gli investimenti, i creatori di contenuti ricevono più denaro dagli inserzionisti che vogliono investire per posizionare i loro annunci pubblicitari nell’archivio. E dunque, quei creatori di contenuti potranno investire di più per creare contenuti ancor più rilevanti per le persone

Potrà sembrare anche eccessivamente ottimistico, ma se provi a guardare i vari punti qui sopra al negativo, ti renderai facilmente conto di quanto siano, invece, suggerimenti di buon senso. E di quanto si sia andati per anni in senso opposto:

  • annunci pubblicitari non contestuali e non interessanti per il pubblico ostacolano la fruizione dei contenuti
  • le persone diventano “cieche” a quei formati, li trovano fastidiosi, cercano soluzioni alternative, installano adblocker, frequentano meno determinati ambienti
  • gli investimenti calano (più di quanto calerebbero fisiologicamente per le altre concause)
  • i contenuti peggiorano

È troppo tardi per tornare indietro? Assolutamente no!

Queste considerazioni sono contenute in una guida che si intitola “Facebook Monetization Solutions for Publisher“: è una lettura agile che ti consiglio vivamente. Non solo perché contiene suggerimenti e possibilità di monetizzazione su Facebook – ne abbiamo visto uno, in particolare: i video monetizzabili – ma anche perché la filosofia di fondo proposta a publisher e creatori di contenuti vale, in generale, a prescindere dalle tecniche e dei tool.

Si potrebbe obiettare che da parte di Facebook, che ospita sulla propria piattaforma principale ogni tipo di contenuto, anche “spazzatura”, sia ipocrita fare questo tipo di discorso. Ma siamo noi esseri umani a inquinare l’ecosistema in cui viviamo. E se lo inquiniamo non è colpa dell’ecosistema stesso.
Si potrebbe obiettare che l’algoritmo di Facebook ha premiato e premia la viralità più becera. Ma siamo noi che decidiamo se ci interessa quella viralità o se ci interessa, invece, prima di tutto, coccolare le persone che vengono a contatto con la nostra presenza digitale e con le nostre offerte.

D’altro canto, Facebook guadagna sui contenuti che pubblichiamo e tenta di erogare – come fa già YouTube da tempo – una percentuale di questi guadagni ai publisher. Meglio che lo faccia, perché se lo sappiamo usare rappresenta un’opportunità. Di cui non si deve diventare schiavi ma che bisogna conoscere.

Le leve di monetizzazione suggerite da Facebook sono:

  • contenuti che giacciono sulla piattaforma e si monetizzano mediante annunci (Instant Articles)
  • subscription (attualmente la funzionalità è in test)
  • branded content
  • annunci pubblicitari nei video
  • uso degli annunci pubblicitari per convertire in vendita di prodotti/servizi/membership
  • uso del Facebook Audience Network (per farla semplice, l’equivalente di Google Adsense)

Nulla di nuovo. Ma in fondo lo sappiamo, che cambiano gli strumenti ma le prassi rimangono simili e semplicemente si evolvono.

(AP)