SPECIALE REL=”NOFOLLOW”

Cos’è il rel=”nofollow” in parole povere?

È un attributo che si applica a un link. Se preferisci, è una tag. È totalmente invisibile al lettore (a meno che non si metta ad aprire il codice sorgente di una pagina web) ma è visibile ai motori di ricerca.

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Per esempio: se apri il codice sorgente di questa pagina, visto che ci sono due link del progetto di affiliazione Amazon, scoprirai, andandoteli a cercare, che entrambi contengono la tag “nofollow”. Eccolo qui.

rel nofollow - come si usa

Come si applica il rel=”nofollow“?

In tanti modi. Io, che sono un po’ fissato, lo scrivo direttamente nell’html del post. Ebbene sì, mi piace usare WordPress scrivendo in html, ognuno ha le sue perversioni. Questo significa che entro nella parte testo del post che sto scrivendo e quando devo mettere in “nofollow” un link, aggiungo dentro all'<a href> il valore “nofollow” all’attributo rel, così <a href=http://www.nomedellink.it” rel=”nofollow>ANCHOR TEXT</a>.

Se ti sembra arabo, sappi che per WordPress esiste un plugin, per dire.

Che cosa fa il rel=”nofollow“?

Il rel=”nofollow” dice a Google (ok, d’accordo, a tutti i motori di ricerca), testualmente: «quando arrivi a questo link, non seguirlo».

Quando si usa il rel=”nofollow“?

Si usa (lo dice la guida di Google) in tre casi specifici:

  1. Quando non hai pieno controllo sui link che vengono pubblicati sul tuo sito (ad esempio: fra i commenti)
  2. Quando stai mettendo sul tuo sito link a pagamento (o che ti rendono soldi. Sì, tipo i link dei programmi di affiliazione, ma non solo)
  3. Quando ci sono parti del tuo sito che tanto non potrebbero essere scansionate dai motori di ricerca (per esempio: un link tipo “registrati” a un forum, va messo in nofollow. Tanto un motore di ricerca non potrebbe seguirlo)

Perché esiste il rel=”nofollow“?

Dividiamo la risposta a questa domanda in due parti. La prima riguarda il PageRank. Forse sai cos’è, forse no. In ogni caso, nel 2008 Udi Manber (VP of engineering di Google) ne scrisse così:

«La parte più famosa del nostro algoritmo di posizionamento è PageRank, un algoritmo sviluppato da Larry Page Sergy Brin, che hanno fondato Google. PageRank è ancora usato oggi, ma ora è parte di un sistema molto più ampio.»

Questa «parte più famosa» dell’algoritmo genera un numero associato a ciascuna pagina di ciascun sito. Il numero viene fuori da una formula che dice, in sostanza e semplificando, che se una certa pagina è molto linkata da molti siti diversi, allora il Pagerank di quella pagina aumenterà. La formula dice anche che il Pagerank di una pagina aumenta di più se linkato da pagine con Pagerank alto.

La formula del pagerank

In un certo senso, il Pagerank può essere considerato come un indicatore che misura la rilevanza di un sito (ma non è sinonimo di rilevanza.  È solo un numero.

Forse hai già capito il punto successivo, dopo che ho parlato del PageRank.

Ma veniamo ugualmente alla seconda parte della risposta alla domanda «perché esiste il nofollow»?

Esiste perché ci sono casi in cui a Google non fa piacere che si «passi» PageRank ad una pagina con un link. E a Google non fa piacere una cosa quando va in conflitto con la sua convenienza specifica (cioè quella di continuare a funzionare). In pratica, succede(va)(*) che, per aumentare artificialmente il Pagerank di una pagina:

  • si lasciano commenti nei siti con link a propri siti (hai presente, quelle tonnelate di spam?)
  • si modificano artificialmente pagine di Wikipedia con link a propri siti
  • si lasciano messaggi con link a propri siti nei forum
  • si paga qualcuno per ottenere in cambio linkI primi tre punti sono semplicemente tecniche «black hat», che inficiano la potenza dell’algoritmo di Google.

Ecco perché Google ti raccomanda di mettere in “nofollow” tutti i link dei commenti dei tuoi siti (in alternativa, quando si parla di siti poco frequentati, ci metti un bel filtro antispam, tipo Akismet, e i commenti «veri» li moderi a manina, con pre-approvazione). Ecco perché, per esempio, a Wikipedia, è consentito di avere tutti i link in uscita in “nofollow”.

Il quarto punto, oltre a gonfiare artificialmente il Pagerank, fa incazzare enormemente Google perché lo fa addirittura attraverso una transazione economica.

Dofollow, please!

Una delle prassi più diffuse (anche adesso) da parte di chi pratica politiche commerciali molto aggressive sul web è quella di chiedere all’editore di mettere link mirati (con anchor text ben precisi, cioè, ti chiedono anche quali parole rendere attive e cliccabili) in dofollow (cioè, nella modalità standard) anziché in nofollow, per incrementare il proprio posizionamento per determinate parole chiave. Credimi: è una pessima idea accettare.

Ok, ma cosa succede se non metto i link «a pagamento» in “nofollow“?

È semplice: Google ti penalizza. Può anche decidere di non mostrare più i risultati in SERP. E, credimi: lo farà. Ti arriverà una mail così:

Link in uscita innaturali

Google ha rilevato un pattern di link artificiali o non naturali sul sito. La vendita di link o la partecipazione a schemi di link con lintento di manipolare il PageRank costituisce una violazione delle Istruzioni per i webmaster di Google.

In seguito al rilevamento di link non naturali dal tuo sito, Google ha applicato un‘azione manuale antispam a *****. Potrebbero essere applicate altre azioni al sito o a parti di esso.


Azione consigliata

  • Identifica i link a pagamento o inorganici utilizzando rel=”nofollow” o indirizzando a una pagina intermedia bloccata dal file robots.txt.
  • Rimuovi i link problematici dal tuo sito.
  • Dopo esserti assicurato che il tuo sito rispetti le Istruzioni per i webmaster di Google, invia una richiesta di riconsiderazione.
  • Per un elenco aggiornato delle azioni manuali attualmente applicate al tuo sito, visita la pagina Azioni manuali. Se non è elencata alcuna azione manuale, non è più necessario presentare una richiesta di riconsiderazione.

Se stabiliamo che il tuo sito non vìola più le nostre istruzioni, revocheremo l‘azione manuale.

Per eventuali domande su come risolvere questo problema, visita il Forum di assistenza per i webmaster.

E quando ti arriverà, se per qualche motivo il tuo business si basa fortemente sul traffico e dunque anche sulla SEO, ti assicuro che non sarà bello. Perché dovrai capire quali sono i link che creano problemi, sistemarli, poi rivolgerti a Google e dirgli: ok, adesso ti vado bene?

(Nota: la mail qui sopra è arrivata relativamente a un sito su cui erano sfuggiti, letteralmente, due link che dovevano essere in nofollow. Il sito era sparito dalle SERP. Trovati e rimossi quei link è tornato a posto).

E quali sono i link «a pagamento»?

Questa è proprio una bella domanda. Ti faccio due esempi: hai presente Interflora? Bene. Interflora, un giorno ha pensato di regalare un mazzo di fiori a tutti coloro che mettevano un link da un blog al sito di Interflora. Da Mountain View hanno interpretato questo come un colossale business di link a pagamento. Sai che ha fatto a Interflora? Lo ha penalizzato al punto che non appariva nelle pagine di ricerca neppure se cercavi il nome Interflora. È poi venuto fuori che Interflora si era comprata oltre 150 pubbliredazionali e aveva una serie di link in ingresso sospetti, ma si è tutti concordi nel pensare che la parte «visibile» di questa acquisizione di link fosse stata quella che ha davvero attirato l’attenzione di Google. A riprova di questo, Interflora, dopo la penalizzazione, iniziò a chiedere a tutti i blogger di rimuovere il link.

L’altro esempio è quello di un sito americano, Rap Genius (sito sui testi delle canzoni). Rap Genius chiedeva un link a un blogger. In cambio, twittava il blog di quel blogger. Ripetuto per millemila volte. Risultato: cancellato dalle SERP il giorno di Natale del 2013 (prenditi il gusto di vedere il grafico, che rende bene l’idea).

Quindi, diciamo, qualsiasi compravendita. E i link ai programmi di affiliazione?

Mettiamola così: Google, nella sua guida ai programmi di affiliazione, non parla esplicitamente del nofollow. Allora, io qui userei semplicemente il buonsenso, in questi termini:

  1. Non sono link che metteresti naturalmente sul tuo sito
  2. Sono link che di fatto metti perché ti rendono (potrebbero renderti) soldi
  3. È vero, forse non sono link che manipolerebbero il PageRank. Ma sicuramente se un programma di affiliazione ha successo, un dato sito otterrebbe centinaia di migliaia di link che diversamente non otterrebbe (che ne so, se in centinaia di migliaia linkassimo quella lavatrice costosissima, magari quella pagina di Amazon diventerebbe artificialmente il primo risultato su Google per la lavatrice, mentre la SERP in questione, per dire, è molto competitiva)
  4. Nelle sue linee guida, Google non ha mai scritto che non si potessero mandare fiori o fare Tweet in cambio di link. Questo non gli ha impedito di penalizzare Interflora e Rap Genius. E Google non guarda in faccia nessuno (ha penalizzato pure se stesso, con Chrome#truestory)
  5. Addirittura un colosso come Amazon genera automaticamente il proprio codice-link con il nofollow inserito

Dati i punti 1-2-3-4-5, io ti consiglio vivamente di mettere tutti i link dei programmi di affiliazione in nofollow. Non ti cambia nulla. Può anche darsi che sia solo un’accortezza. Ma perché rischiare?

In pratica lo devo fare perché probabilmente lo dice Google?

Sì.

Solo per questo motivo?

Diciamo che è il principale. Poi ce n’è anche un altro, filosofico, se vuoi. Google esercita un monopolio di fatto. È arbitro e agisce con arbitrio. Ma io penso che in questo caso abbia perfettamente ragione: pattern di link innaturali, pagati, messi per ottenere vantaggi inquinano il web e peggiorano tutto. Del resto, perché dovrebbe piacerci che alcune pagine web vedessero gonfiata la propria «rilevanza»?

Ma allora mettiamo tutti i link in nofollow! 

No. È una boiata immane! Questa è una soluzione che ho visto applicare in alcune realtà per due motivazioni distinte. La prima: «così non rischiamo». La seconda: «così non avvantaggiamo i concorrenti».

Diciamo che potrei comprendere la prima, ma risponderei che è un rischio che va corso. Diciamo che la seconda appartiene alla categoria delle colossali stupidaggini. Mettere tutto in nofollow è una pessima idea. Per spiegarlo, cito un vecchio post di Ivano Di Biasi.

«Mettere tutti i link in NOFOLLOW significa tagliare i ponti con chiunque.
I link non servono solo a trasferire “link juice” ma anche a stabilire le relazioni, più o meno forti (follow/nofollow) con altri siti web. Mettendo tutto in nofollow state mettendo tutti i siti che linkate sullo stesso piano e non va assolutamente bene.

Il ranking di un sito web non è solo determinato dai link in entrata ma anche da quelli in uscita perchè rappresentano UNA PROVA della nostra conoscenza dell’argomento, UNA PROVA che il nostro sito/pagina sia A TEMA con la pagina linkata, UNA PROVA che il nostro sito web si trovi nel contesto giusto (Topic).

Mettere tutti i link in NOFOLLOW significa prendere le distanze da chiunque anche se li citiamo, non è il peggiore dei mali in circostanze del genere ma non abbiate fretta, individuate tutti i link in uscita del vostro sito web e modificateli ad HOC senza frenesie, non saranno tutti sbagliati, ne dovrete correggere solo alcuni… e poi… sapete bene a quali link si stia riferendo Google quindi non è che dovrete cercare tanto no?»

Se preferisci una fonte inglese sul medesimo tema, ecco qui: 4 Reasons Nofollowing All Links Is Absurd.

(*) Un’ultima domanda: ma il PageRank esiste ancora?

Allora: per esistere, esiste. È possibile che non verrà mai più aggiornato da Google, ed è certamente diventato un segnale di ranking minore rispetto a molti altri. Questo, però, non significa che i link in ingresso non facciano bene al posizionamento di un sito in termini di posizionamento SEO. Ragion per cui quanto detto fin qui vale, PageRank o meno.

(16 marzo 2016)