Le immagini sul tuo sito (per la SEO e non solo)

In un mondo in cui la comunicazione visiva è sempre più importante, in un mondo in cui la confezione e la consegna del contentuo sono importanti quanto e più del contenuto stesso, bisogna prestare attenzione anche alle immagini.

C’è stata un’epoca storica la sezione Immagini di Google era strutturata in maniera molto diversa da oggi: in quell’epoca storica ad ogni clic su una delle miniature di immagini corrispondeva una visita al sito che si era posizionato. Questo si traduceva, soprattutto per determinati contenuti (in particolare quelli “erotici”, ma non solo), in valanghe di clic e di traffico e di visualizzazioni di banner. Quell’epoca è sostanzialmente finita – in un certo senso, per fortuna – da quando Google ha introdotto l’attuale struttura della sezione immagini. Una struttura che ingrandisce la miniatura delle immagini posizionate rimanendo dentro a Google stesso.
Fu uno dei classici casus belli che ci fanno chiamare frenemy (nemici-amici) le grandi piattaforme:

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  • è un bene, perché così chi pubblica contenuti non si concentra solo sui volumi di immagini messe a caso, un tanto al chilo, per far clic (spesso, va detto, anche rubacchiando foto con la scusa che tanto sono sul web)
  • è un male perché Google approfitta dei contenuti prodotti e pubblicati da altri

Detto ciò, finché non si troveranno alternative valide al sostanziale monopolio di cui gode Google nel mercato della ricerca online, tocca capire bene che fare per usare al meglio anche la parte delle immagini.

Se non si cercano trucchetti per fregare l’algoritmo ma ci si concentra sulle reali necessità di chi naviga una pagina web, non si potrà che fare bene, come al solito.

La parte di Google dedicata alle immagini è in costante mutamento ed è una delle mie preferite da osservare.

Luglio 2020, “trasferire le foto su legno” cercato su Google.

Nel 2020, per esempio, Google comincia a includere anche screenshot da video di YouTube nelle ricerche per immagini. Oppure prodotti da Google Shopping. E anche immagini tratte da e-commerce, persino con alcune tag abilitate. Guarda nell’immagine qui sotto, in basso a sinistra. Quel “disponibile” in verde deriva direttamente da un’informazione che un e-commerce (realizzato con Woocommerce: lo so perché l’ho fatto io) fornisce a Google.

Luglio 2020, ricerca su Google immagini per “contenitori zuppa”

Per capire quanto cambi questa sezione, è utile fare un viaggio nella storia ma anche nelle funzioni di Google.

La ricerca inversa

Sappiamo tutti (o almeno, dovremmo saperlo) che Google consente anche di fare ricerche per immagini. Ho una foto, voglio saperne di più – formalmente, voglio fare una Reverse Image Search, vale a dire: voglio trovare immagini correlate a quella che sto inserendo – la carico sul motore di ricerca. Oppure ne inserisco la URL. O, se ho scaricato l’estensione apposita per Chrome o Firefox, faccio tasto destro e posso ricercare nella banca dati di Google per le immagini. Qui c’è la guida di Google in merito.

Il motore di ricerca, a volte con enorme successo, a volte (la maggior parte delle volte) con grande fatica offre una SERP che contiene una serie di risultati che mostrano immagini «simili» e poi pagine che contengono quell’immagine o immagini simili.

Verifica

Si tratta di uno strumento molto prezioso – per quanto basilare – in sede di fact checking: vuoi verificare se è possibile che una data foto che sta girando sui social sia recente? La carichi su Google Images. Se la trovi altrove nel web, caricata in passato, ecco che non è recente.

Ma questa è una funzione che interessa, probabilmente, soltanto a giornalisti online e a «sbufalatori» di professione (in realtà, dovrebbe interessare tutti, visto che viviamo in un’ecosistema fatto di immagini che vengono pubblicate velocemente, quasi sempre senza alcuna verifica, e visto che noi stessi pubblichiamo, sui nostri profili social, per esempio. Essere certi di pubblicare immagini «validate» è un modo per rendere più pulito l’ecosistema del web).

Come funziona?

Sul funzionamento del motore di ricerca per immagini di Google c’è una bella risposta su Quora da parte di un ingegnere di Google, Sam Gendler (Engineer in search infrastructure at Google, Inc.).

Notate che, come spesso accade, Google fornisce risposte a domande sul proprio funzionamento tramite persone che lavorano al proprio interno. Sono da ritenersi risposte ufficiali? O ufficiose?
Impossibile a dirsi, ma sono comunque molto interessanti da analizzare.

Poi c’è tutto l’archivio di documentazioni che invece Google stesso ha ritenuto di rendere pubblico. Eccolo.

Tag “semantiche”

Da qualche tempo (2015-2016) Google Images offre i propri risultati con una funzionalità aggiunta. Propone una tag “semantica” che dovrebbe essere il risultato più pertinente possibile per categorizzare l’immagine che gli è stata proposta. Uso la parola “semantica” fra virgolette, perché tutte le volte che si parla di “semantica” associata alla SEO nascono aberrazioni filosofico-fuffare da evitare come la peste.
Per esempio, nel 2016 ho provato a caricargli un’immagine che raffigura Fabio Basile, il giovane vincitore dell’oro nel judo 66kg alle Olimpiadi di Rio. Google fa un po’ fatica, ma mi offre come risposta «player».

Per la precisione dice: «Migliore risposta per questa immagine: player». Non avendo molte altre occorrenze per Fabio Basile, l’algoritmo di Google fa del suo meglio, diciamo così. Nella SERP poi propone

Fra le immagini visivamente simili altri «player»

  • Fra le pagine che contengono immagini corrispondenti, trova quelle che effettivamente hanno quell’immagine caricata

Se gli rendo la vita un po’ più facile e cerco, per esempio, un’immagine di Paul Pogba il risultato è davvero impressionante.

La tag «semantica» che Google associa a questa immagine è «Paul Pogba 2015 16». Effettivamente, l’immagine, oltre a mostrare il calciatore, lo ritrae in una partita disputatasi proprio nella stagione calcistica precedente.

Questo significa che in presenza di occorrenze precise e di un volume di dati significativo, Google è in grado di «capire» e offrire come risultato il contenuto esatto dell’immagine, almeno per tag principale.

Può sembrare ancora rudimentale, ma è una funzione da tenere d’occhio attentamente: oltre a darci, come visto, suggerimenti SEO, sarà una delle evoluzioni delle funzionalità dei motori di ricerca.

Quanto sia importante per Google la componente visiva lo prova anche la modifica che è stata realizzata nel 2017 alla pagina dei risultati delle immagini, molto simile a un social fotografico e con le tag in bella vista.

Qualche anno dopo, nel 2019, la medesima ricerca in Google Images ti mostra non solo l’evoluzione per immagini del personaggio in questione, ma anche il modo in cui Google testa e poi modifica sé stesso graficamente (e non solo): vedi che, per esempio, i colori delle tag sono stati dismessi e, contemporaneamente, il tagging sembra più preciso.

Contemporaneamente, possiamo verificare che in termini di riconoscimento generico delle immagini, Google ha fatto passi da gigante. Ho provato a dargli in pasto una foto del mio cane. Ecco cosa dice l’1 febbraio 2019.

Lo riconosce come “border collie pelo corto”. Corretto. Ti faccio notare che Google ha cambiato la dicitura: se prima diceva “migliore ipotesi per questa immagine” adesso ti dice “possibile ricerca correlate”. Questo ha comportato un cambio radicale di esposizione in SERP immagini anche per quanto riguarda le persone. Guarda cosa succede se carico un’immagine di Pogba.

Possibile che Google non lo riconosca più? Assolutamente no: questo è chiaramente un cambio dovuto a questioni legate alla privacy. Probabilmente anche al GDPR.
L’algoritmo di riconoscimento continua a migliorare, i risultati esposti si contengono un minimo.

A luglio del 2020, Google se la cava nuovamente con il “Possibile ricerca correlata”.

Consigli SEO

Per capire cosa c’è in un’immagine, oltre a strumenti più o meno sofisticati di AI, Google utilizza anche elementi molto basici.

Per esempio:

  • tutti i dati e metadati dell’immagine eventualmente inclusi nel file
  • la URL dell’immagine
  • la URL della pagina su cui l’immagine giace
  • il contenuto della pagina o del sito su cui l’immagine si trova e quali parole sono «vicine» all’immagine o si riferiscono all’immagine stessa
  • se l’immagine ha anche un link nella pagina, si utilizza anche quel link (o altri contenuti nella pagina stessa). Tutti i contenuti della pagina che specificano meglio l’immagine vengono letti da Google.

Basterebbe questo elenco – tratto e liberamente tradotto dalla risposta su Quora di cui sopra, ma anche dalla mia esperienza personale – per rendersi conto di una cosa molto importante: se vogliamo che le pagine dei nostri siti siano bene indicizzate da Google e acquisiscano posizionamento, dobbiamo anche prenderci cura delle immagini, e quindi

  • nominare i file in maniera pertinente
  • compilare gli attributi alt, title e description in maniera umana e pensando alle loro funzioni (per esempio, il campo “alt” viene letto dai browser per non vedenti)
  • inserire le immagini in pagine contestualmente pertinenti
  • lavorare su tutto ciò che è testo

Tutto questo ha due funzioni: la prima è quella di favorire la comprensione del contenuto, anche visivo, da parte della macchina. L’ecosistema internet, infatti, è abitato anche da macchine, come il bot di Google. Ci interessa favorirlo nella scansione dei nostri siti per il vero scopo: servire al meglio le persone con i nostri contenuti, farli trovare.

E quindi, ecco la seconda funzione: dare alle persone le migliori risposte possibili alle loro ricerche, anche attraverso le immagini che carichiamo sui nostri siti.

Le dimensioni contano

Anche la velocità di caricamento di una pagina serve, sia per i motori di ricerca sia per le persone: ecco perché è utile comprimere un’immagine in modo che non sia troppo “pesante”. Se non sai come fare, ci sono tante guide online, che propongono soluzioni ad hoc. L’importante è agire sulle dimensioni effettive dell’immagine e sul loro peso in termini di byte (cioè+ sulla risoluzione).

E tutto il resto?

Già che abbiamo fatto lo sforzo di lavorare in maniera consapevole sulle immagini, vale la pena di fare qualche altra considerazione.
Come tutti i contenuti che proponiamo sul web o a corollario della nostra presenza digitale, anche per le immagini vale la solita regola del meno, meglio.

Ci sono tantissimi metodi per procurarsi immagini “free” (dagli uffici stampa ai servizi stock tipo Pixabay, Unsplash, Flickr, archive.org e simili). Ci vuole del tempo, ma se fai un’accurata ricerca e se lavori bene (come photo editor) puoi ottenere ottimi risultati in termini di comunicazione visiva.

Quando si può, quando si ha il budget, è bene lavorare con poche immagini originali, attorno alle quali si costruisce un’altra parte del progetto digitale, con la cura che ci vuole (sì, perché ottimizzare le immagini SEO costa, in termini di tempo e di attività).

Distinguersi richiede cura e tempo.

Se poi fai una scelta di campo di questo tipo, sulle immagini, allora le potrai anche utilizzare per i tuoi social a vocazione visiva.


Foto di Cherry Laithang su Unsplash

(AP)