Quella storia del trend “lasciamo i social”

Ci sono state due “notizie” che hanno favorito l’ammucchiata dei commenti di quelli che ne sanno di digitale, fra aprile e maggio del 2019.

___STEADY_PAYWALL___

Le due “notizie” sono Lush che abbandona i social e Unicredit che abbandona Facebook, Instagram e Messenger (cioè: non i social ma, nello specifico, le piattaforme di Mark Zuckerberg).

Abbiamo scelto di non commentare nell’immediato le due scelte aziendali per il solito principio dell’anticorpo nei confronti dell’istantismo.

Ma adesso è arrivato il momento di scrivere un paio di considerazioni in merito.

Non è un “trend”, ma è un indicatore del fatto che si può fare

Anche se giornalisticamente può far piacere provare a cavalcare la cosa, due aziende che annunciano che non utilizzeranno più alcune piattaforme digitali non fanno un trend.

Quello che dovrebbe interessarci, più che altro, è che – come del resto su Wolf sosteniamo da tempo – si possono immaginare exit strategy.

In generale, si possono sempre immaginare exit strategy da tutto ciò che, ad un certo punto, è stato inserito a forza in azienda. Ma i motivi per non stare su una piattaforma digitale sono molteplici:

– la piattaforma potrebbe non essere coerente con te, con il tuo prodotto

– la piattaforma potrebbe non darti benefici di alcun genere

– la gestione della piattaforma potrebbe essere più costosa del previsto per ottenere risultati

– la piattaforma potrebbe non essere più coerente con quel che era quando hai iniziato a lavorarci su

– …

È una notizia?

Ci sono aziende che non hanno mai fatto pubblicità sui media mainstream. Altre che ne hanno fatte per un po’ e poi hanno smesso. Altre ancora che hanno continuato. Altre che hanno sempre e solo scelto di fare pubblicità sulle nicchie.

In generale, queste non sono mai state notizie, se non per gli addetti ai lavori.

Diventa una notizia perché ormai il mondo digitale contemporaneo, grazie anche a una serie di equivoci e a una corsa “celoduristica” alla massimizzazione delle metriche quantitative, ci ha abituati a considerare questi grandi nomi della Silicon Valley come dei veri e propri ecosistemi dei quali non si può più fare a meno.

Perché faccio l’esempio della pubblicità? Perché, prima di tutto, Unicredit aveva annunciato già un anno prima – questa forse era la notizia – che avrebbe smesso di fare pubblicità su Facebook, in seguito allo “scandalo Cambridge Analytica” (uso l’etichetta più comoda per parlarne).

L’abbandono delle varie declinazioni dell’impero di Zuckerberg anche per quanto riguarda la componente “organica”, non a pagamento, è una diretta conseguenza di quella decisione e del fatto che per determinati obiettivi la parte pay è pressoché indispensabile, su Facebook & affini, data la pletora di contenuti con cui abbiamo a che fare tutti i giorni.

Di fatto, non sapendo quali dinamiche interne abbiano portato alla decisione da parte di Unicredit, possiamo solo fare una serie di ipotesi (scappando, ovviamente, da quegli atteggiamenti tipo “buona fortuna, vogliamo proprio vedere come farete” oppure “Zuckerberg si farà male” o altre previsioni del genere) rispetto alle conseguenze che verificheremo solo in futuro. Alcune sono ovvie, ma vanno comunque esplicitate:

– le persone che usavano i social di Zuckerberg come canale per approcciarsi alla loro banca (o a quella che forse sarebbe potuta diventare la loro banca) non potranno più usare quel canale

– le persone che parlavano di prodotti bancari e di Unicredit sui social di Zuckerberg continueranno a  farlo, sia privatamente sia pubblicamente

– se Unicredit è interessata alla parte di conversazione che emerge pubblicamente sui social di Zuckerberg, in qualche modo sarà già attrezzata al monitoraggio di quelle conversazioni (o si attrezzerà ulteriormente): abbandonare la piattaforma non vuol dire per forza ignorarne i segnali

– Unicredit ne guadagna in termini di posizionamento. È come un brand che fa una scelta di campo. Per quei clienti che hanno odiato Facebook dopo il caso Cambridge Analytica sarà un sospiro di sollievo. Per gli altri una scelta scellerata. Per molti non cambierà assolutamente nulla

– Unicredit potrà pur sempre tornare indietro, qualora gli standard di Facebook, Instagram e Messenger dovessero essere di nuovo allineati alle loro dichiarazioni rispetto all’”etica”

E Lush?

Il caso Lush è un po’ diverso, se non altro per le ragioni comunicate alle persone: non si parla di etica, qui, ma di soldi spesi per comunicare. Visto che il 6% delle persone già in contatto con Lush viene raggiunto dai contenuti social, l’azienda ha deciso di concentrare i propri sforzi sulle piattaforme proprietarie. Stiamo parlando di un’azienda che più volte ha dichiarato di non

«sprecare soldi in eccessi di confezinamenti, pubblicità, marketing troppo costoso»

e, nel dichiararlo, ha anche assunto una chiara posizione proprio in termini di marketing.

In questo caso, la scelta appare ancora più coerente, perché l’idea è quella di utilizzare ciò che si è imparato sui social per lavorare sulla propria community. Queste le quattro piattaforme su cui Lush investe e investirà:

Lush Player Home – Lush.com – Labs.lush.com – Lush Labs app.

Per dirla come la direbbe Mafe de Baggis, hanno intenzione di riprogettare e lavorare su community on site.

E in effetti, per esempio, se guardi il “labs.lush” scoprirai che è proprio pensato per aggregare lì una community, con tutte le leve del caso, a partire dall’esclusività di alcuni benefit.

Concentriamoci su questo.

Può avere senso lavorare per qualche anno sui social per aggregare lì e poi piano piano cominciare a spostare altrove le persone che lo desiderano?

La risposta è: assolutamente sì. E anzi, questo è quello che si sarebbe dovuto fare da sempre, pensando all’obiettivo finale che si vuole ottenere con una strategia mirata a portare pubblico qualificato sui canali che hai deciso di presidiare.

Una volta che hai quel pubblico qualificato, oltre alla massa di persone da risollecitare periodicamente con contenuti interessanti per loro, oltre alla possibilità di vendere, rivendere, fare proposte commerciali, oltre al canale di “customer care”, oltre a tutto quello che ti consente di fare l’ecosistema digitale, quel pubblico lì, affezionato, lo dovrai coccolare.

Nel tempo, diventa sempre più difficile e costoso acquisire contatti nuovi e diventa sempre più conveniente, invece, tenerti quelli vecchi servendoli al meglio. In attesa di ricominciare da capo su qualche altra piattaforma.

Nel frattempo, però, non si molla proprio tutto. Il comunicato di Lush, per esempio, spiega anche che continueranno, attraverso il loro staff, a partecipare alle conversazioni aggregate con gli hashtag più comuni per i loro clienti.

Da portar via

Come al solito:

– non fidarti delle analisi buttate lì mezz’ora dopo un comunicato stampa

Per le strategie tue o dei tuoi clienti:

– scegli le piattaforme dove stare o non stare in maniera armonica e coerente con la tua attività
– cura quelle piattaforme meglio che puoi
– misura che quella cura non sia solamente un costo fine a sé stesso: le tue presenze digitali non sono solo dei segnaposto “per esserci”
– nulla è per sempre: le cose cambiano, il problema non è abbandonare una piattaforma, il problema è non essere capaci di adattarsi