Wolf. 52 – IL riassunto, L’anteprima

Vediamo una serie di cose che sono successe dall’ultimo numero di Wolf a oggi. Alcune selezionate dalle conversazioni che si sono svolte sul gruppo di conversazione su Facebook.
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Fra le cose che sono successe in questi giorni, e che sono state anche argomento di conversazione sul gruppo Facebook di Wolf c’è, senz’altro, l’uscita del numero di IL con la storia di copertina dedicata a Il futuro dei giornali. Ora, tre dei pezzi che compongono lo speciale sono online.
C’è l’editoriale di Rocca. C’è l’intervista a Pigasse (Le Monde), sempre di Christian Rocca. C’è il Guardian che domina su internet ma non sa chi pagherà il conto, pezzone di Stephen Glover. Che però ha un problema: finisce senza Alan Rusbridger, su cui verte tutto il pezzo, rinuncia alla presidenza dello Scott Trust (proprietario del Guardian). Il che non inficia la bontà del pezzo, ci mancherebbe altro, ma lo rende monco e tremendamente obsoleto.
Magari non hai tempo di leggere, e allora riassumo per te. Nell’editoriale, Christian Rocca punta tutto sul fatto che nell’ecosistema dell’informazione si pubblicano troppe stronzate. Tutto sommato, ce ne eravamo accorti.
L’intervista a Pigasse è interessante, anche se si avverte un’immotivata esterofilia: non è che Le Monde sia il meglio sul pianeta, anche se sono snob e francesi. Però, ecco, ti rendi conto, leggendo di come lavorano, che in ogni caso ci provano. Sia a rendersi sostenibili sia a diversificare l’offerta per i propri lettori. Con settimanali, con attenzione per il digitale.
Dell’articolo sul Guardian abbiamo già detto in parte (e comunque lo trovi online). Monco, ma comunque interessante. Anche se – parere personale – sembra animato da un certo disaccordo personale dell’autore nei confronti dell’ex ditettore del Guardian. È un po’ come se Glover non aspettasse altro di dire: «Io l’avevo detto». Cosa aveva detto? Semplice: aveva detto che la strategia di Rusbridger era completamente avulsa dalla realtà in termini economici. La tesi di Glover – che sembrerebbe almeno parzialmente avvalorata dai fatti recenti – è che il Guardian sia sempre stato su un altro pianeta. Come se i soldi non fossero importanti. E invece, purtroppo, sono importanti. In ogni caso, il Guardian è il secondo o il terzo sito di informazione in lingua inglese (il secondo posto se lo contende, ovviamente, con il New York Times. Il primo è saldamente in mano al Mail Online). Per avvalorare le sue tesi anti-Rusbridger, Glover sottolinea la spesa folle del 2005 (90 milioni di euro per nuove macchine tipografiche) e quel digital first che nella visione del Guardian si è trasformato in un tutto gratis con membership. Da notare che Glover scriveva per l’Independent. Una rubrica sui media.
Poi c’è un pezzo – non online – su Politico.eu. È forse il più interessante. Contiene concetti che i lettori di Wolf dovrebbero conoscere bene. A partire dalla possibilità di utilizzare newsletter a pagamento per offrire un servizio di qualità e indipendente ai propri lettori. Ma non è il mezzo di distribuzione che conta (mail, siti, quel che vi pare). Quel che conta è il contenuto dei pezzi.
Infine, nella doppia dedicata alle brevissime sul mondo del giornalismo, poi, si trovava anche un trafiletto dedicato a Slow News. In realtà, Slow News (di cui Wolf è supplemento) non seleziona notizie italiane. Slow News fa una newsletter omonima di curatela, con il meglio che troviamo sul web (tutto il web). E poi fa Wolf, che è quel che stai leggendo tu.

Non ci possiamo lamentare, però: se qualcuno ti cita, almeno non sta facendo finta che tu non esista. Inoltre, una grande lezione che si deve imparare e che vale per tutte le nostre idee, è il fatto che se qualcuno capisce male è anche colpa nostra. Quindi, dovremo imparare a comunicare meglio, in maniera più semplice e lineare. Fra le altre «curiosità», c’è la Vanguardia (in un box dal titolo «La nicchia identitaria») che apre una versione in catalano.
Diversificare gli introiti
Su Datamediahub, Lelio Simi racconta del Sole 24 Ore e di Enel.
Notifiche su Facebook con algoritmo
Il mio Facebook, da mobile, propone una selezione delle notifiche con criterio algoritmico. Non delle notizie. Delle notifiche. La differenza è sostanziale.
Come si può vedere dall’immagine qui sotto, non vedo più il flusso delle notifiche, ma le vedo raggruppate e selezionate in base a criteri non palesi ma che, comunque, non mostrano tutte le notifiche.

Ci sono quelle Nuove, quelle Recenti e le Altre. Il risultato? Facebook non mi mostra tutte le notifiche che ricevo. Ho interpellato altri utenti Facebook ma vedono ancora le notifiche in ordine cronologico e, soprattutto, tutte.
È evidentemente un’ulteriore limitazione alla possibilità di raggiungermi attraverso i suoi servizi, un modo per tenermi dentro se voglio scoprire le altre notifiche.
Nella seconda immagine, ecco come appaiono le notifiche a una persona che, invece, evidentemente non è stata ancora raggiunta da questa modifica.

Non è una novità per Facebook, il fatto di testare varie funzionalità su gruppi di utenti diversi. Certo che l’invadenza algoritmica addirittura nelle notifiche sembra davvero eccessiva. Non è che a furia di chiudere le maglie del walled garden Facebook finirà per esagerare?
Un modello di business per il giornalismo del futuro
Pezzo free su Wolf
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Non è ancora perfetto. Ma qui puoi trovare il sommario di tutti i numeri di Wolf.