Falso idolo 7. Buona pratica 2

Falso idolo 7. I case study, tutti

Prima di tutto, una noiosa ma doverosa premessa terminologica: se li chiami case history stai parlando di cartelle cliniche, non di esperienze interessanti da cui imparare. Questa premessa mi serve anche per ribadire una delle mie convinzioni meno amate e cioè che cercare di replicare un buon case study è come curarsi con le medicine di un altro: in una parola, stupido.

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I motivi sono semplici e sono tre:

  1. la prima buona pratica che ti abbiamo proposto è «Progettare la presenza digitale intorno alla cultura aziendale». Se hai una cultura aziendale non puoi avvantaggiarti delle soluzioni altrui.
  2. è difficile che un case study sia trasparente. Non lo dico per sfiducia, perché non penso che siano falsi o esagerati. Penso che, quando ti viene bene qualcosa, è umano raccontare la parte della storia che ti fa sembrare migliore. I case study sono i selfie delle aziende.
  3. i case study veri sono «cigni neri», nel senso di Nassim Taleb: «Events that are non repeatable are ignored before their occurence and overestimated after (for a while).» Prima di tutto: non sono ripetibili. Poi: sono ignorati prima. E soprattutto: sono sopravvalutati dopo. L’unica cosa che possiamo davvero imparare da un case study è accettare che cose incredibili possano succedere, se ci provi.

A questi tre motivi aggiungo un corollario: uso i case study (miei e altrui) nei miei corsi perché è più facile capire da un esempio. Per imparare, però, devi provarci, e sbagliare, e riprovarci, e sbagliare.

Sono esempi, non modelli, come vedremo quando sveleremo la Buona Pratica #6: imparare dalle best practice senza adottarle.

Buona pratica 2. Partire dai contenuti esistenti o possibili per scegliere le piattaforme

Le medicine di un altro che non funzionano sono una metafora perfetta per spiegare cosa significa il fatto che frammentazione, identità, pubblico di riferimento richiedono differenziazione. Del modello di business e dunque anche delle piattaforme, che sono strumenti. Non sceglieresti mai gli strumenti prima della strategia e la tua strategia non può fare a meno dei contenuti che produci già o di quelli che potresti produrre.

Abbiamo detto che non ha alcun senso affannarsi per essere ovunque. E abbiamo detto che, dall’altro lato, è una buona idea progettare la propria presenza digitale pensando alla cultura aziendale. Questa buona pratica è figlia di Falso idolo #1 e di Buona pratica 1.

Se produci già contenuti devi saper individuare la loro destinazione naturale e allo stesso tempo pianificare, in sede di stesura del piano editoriale, le piattaforme su cui questi contenuti potranno giacere. Non iniziare a produrre foto e video perché devi andare per forza su Facebook e Instagram e Snapchat. Piuttosto, parti a ritroso e fai uno sforzo di pianificazione.

  1. Hai un archivio? Di cos’è fatto? Si può rispolverare? Si può valorizzare con una bella operazione da «marketing della nostalgia», del  vintage (archivi fotografici di foto d’epoca, vecchi libri, vecchie storie, video girati nei formati più improbabili)? C’è qualcosa che con poco sforzo si può riciclare riattualizzandolo (i classici contenuti da manutenere) per il tuo pubblico? Bene.Ricicla il vintage in maniera creativa, scegli che piattaforme utilizzare, rendi il tuo archivio parte del tuo piano editoriale. Gli archivi sono il vero petrolio per le aziende e per i professionisti che hanno bisogno di un piano di comunicazione.
  2. Hai già una produzione più o meno regolare? Mettila a sistema. Ogni contenuto non declinato anche sulla sua piattaforma naturale (se si hanno le forze per gestirla, naturalmente) è un contenuto utilizzato a metà nella migliore delle ipotesi. Sprecato nella maggior parte dei casi.Non accontentarti di fare picchi di traffico sul sito. Pensa a cosa potrebbe essere stampato. Pensa a cosa funziona e per quale pubblico. Usa i canali di distribuzione, le piattaforme in funzione di quel che stai già facendo. A che serve buttare fuori 140 articoli in un colpo solo? Quante persone li leggeranno?
  3. Sai fare cose che ancora non fai? Questo è un punto fondamentale che parte dal presupposto che molto spesso non ci rendiamo conto di aver già una quantità di cose che potremmo raccontare e usare come contenuto corollario per le nostre aziende o attività.Sai raccontare aneddotica? Potrebbe funzionare su un blog personale o aziendale. O magari su Facebook. Hai la possibilità di realizzare belle foto o video? Youtube, Facebook, Instagram sono lì per questo. Hai un packaging interessante e un prodotto sorprendente? Mostrali con un video di unboxing. Fai corsi di formazione? Manda in streaming il live dell’introduzione su Facebook. Organizza webinar live. Hai ottenuto una nuova certificazione? Spiega che cosa cambia in meglio per i tuoi clienti (non parlare di te, parla di loro).

Naturalmente, a) b) c) richiedono, tutti, un’impostazione professionale e non improvvisata che richiede un lavoro di intreccio tra fabula e meme. Ma questo lo diamo per scontato, ormai, no?