È la dura legge dell’hype

L’HYPE E ALTRE STORIE

Sai cos’è il ciclo dell’hype? Probabilmente sì. Ma conosci bene la sua storia?

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Il ciclo dell’hype, anche detto ciclo dell’esagerazione, è una rappresentazione grafica della maturità, dell’adozione e dell’applicazione di una determinata tecnologia. Viene usato moltissimo per parlare di innovazione.

Si presenta in due forme. La prima, semplificata, che è quella che si trova quasi sempre in giro e che viene citata a memoria, è questa.

La seconda, quella complessa, che più o meno trovi incorporata con la stessa frequenza di quella semplificata, perché ti dà quell’idea di approfondimento e conoscenza un po’ alchemica, ma che – son pronto a scommetterci – nessuno ha mai letto e studiato in tutte le sue parti, è questa.

Trovi questi due grafici sulla voce Wikipedia corrispondente.

Anche se sono grafici, però, hanno un primo problema: non derivano da una misurazione puntuale e specifica. Non hanno alcun valore scientifico. E infatti sono stati prodotti e teorizzati da un’agenzia di consulenza che si chiama Gartner.

Se ci pensi è geniale. La Gartner si è creata un contenuto che fa diffondere il suo brand a dismisura. È un contenuto “facile” (pure nella versione complessa), che sembra descrivere alla perfezione quel che ci sembra accadere nel mondo tecnologico, nel mondo che ci circonda: picchi di interesse, disillusione, ricrescita, plateau.

Peccato, appunto, che questa rappresentazione racconti soltanto uno dei possibili destini di un prodotto o di un servizio. Per tutti i prodotti o servizi che seguono questo grafico, ce ne sono moltissimi in più (non userò numeri, non voglio ingannarti) che falliranno. Altri che rimarranno nella fase prototipo. Altri che seguiranno altre curve di crescita o decrescita.

Ma che importa?

È un modello, ci piace, ci rassicura, c’è il grafichétto e la Gartner si è meritata di essere citata anche da Wikipedia, appunto (la voce inglese è molto chiara nel definire il ciclo dell’hype «a branded graphical presentation»).

Pensa se in Gartner avessero proposto questo, di grafico.

Personalmente lo adoro.
Però ha un difetto: è un grafico che scende!

In effetti, ti confesso che una volta ho detto a un mio cliente, in una riunione di misurazione dell’avanzamento lavori: «Si inizia sempre una presentazione con un grafico che sale».
Il cliente ha riso. Io ho effettivamente iniziato la mia presentazione con un grafico che sale. L’avevo scelto apposta, utilizzando parametri che mi garantissero quella curva in salita, ovviamente. Non lo stavo ingannando: c’erano davvero parametri in crescita e stavamo davvero ottenendo risultati. Ma alcuni parametri crescevano più di altri, con evidenza tale da permettere di fare un grafico in crescita netta.

Morale? Ha funzionato. Funziona sempre, purtroppo, anche meglio del vero lavoro: capita anche troppo spesso di dover raccontare con escamotage del genere un percorso lungo che darà i suoi frutti nel corso degli anni .

C’è un altro problema con il grafico di Gartner: non è un ciclo, anche se lo chiamiamo ciclo.

Ora. Vuoi sapere un altro segreto che probabilmente conosci già? Chi comunica e chi fa giornalismo è fra i responsabili del successo del modello Gartner, almeno nella sua prima fase: quell’immotivato, eccessivo, esagerato picco di crescita. Che nella maggior parte dei casi fa poi come il grafico della caduta rovinosa, mica come l’altro.

Ricevi o passi l’imbeccata, generi enorme interesse per il nuovo servizio del momento (spesso esagerando. Tipo così: Cos’è Vero, l’app che vuole battere Instagram e Facebook), passi oltre.

Cosa ci insegna tutto questo?

  • che i grafici (che siano o meno branded content) non sono necessariamente veri, anche se ti rassicurano
  • che a Gartner il reparto marketing sa fare alla grande il suo lavoro
  • che l’infosfera è fragile e vulnerabile a questi meccanismi
  • che l’hype può far male se non sai come prenderlo

Questo non significa che si debba guardare con sospetto qualsiasi crescita.


GIOCHIAMO A SCACCHI?

Adesso ti faccio vedere una crescita veramente interessante.

Da quando è uscita La regina degli scacchi – ne abbiamo già parlato da queste parti – il sito chess.com, il più popolare sito al mondo dove si può giocare a scacchi anche gratuitamente (ha un modello di business freemium) ha conosciuto una crescita enorme. A novembre si contavano 100mila nuovi iscritti al giorno. In 90 giorni è passato da una posizione stabile al 299° posto fra i siti mondiali a essere uno dei primi 200 siti al mondo.

È la cultura pop in azione, signore e signori e ha anche effetti straordinari, con buona pace di chi la critica per partito preso. Una serie tv di successo fa da gigantesco branded content per un gioco che ha compiuto mille anni.

Per chi è già leader del settore, questo significa una crescita inaspettata quanto imprevedibile da qualsiasi modello o pseudo-ciclo o grafichétto rassicurante.

Ma cosa succede dal punto di vista di chi gioca, quando arrivano così tante nuove persone?

Vediamolo insieme: ti prometto che alla fine c’è una morale anche qui, che ti riguarda da vicino.

Gioco a scacchi da più di 30 anni e sono iscritto a Chess.com da anni. Da quando ho smesso di fare i tornei dal vivo (ben prima della pandemia, per ragioni di tempo) mi diletto sulla app nella modalità “Blitz” (3 minuti a testa a partita, con due secondi di bonus per ogni mossa fatta). Non sono particolarmente forte nella modalità “Blitz”, ma comunque galleggio intorno al 90°-91° percentile. Significa che il 9%-10% delle persone iscritte è forte come me o più di me e che le altre giocano peggio.

Negli ultimi 30 giorni, però, anche se gioco sempre allo stesso modo e non sono particolarmente migliorato nel gioco – non studio più da tempo, purtroppo – sono migliorato tantissimo in valore assoluto. Guarda che bella crescita.

Eppure il mio percentile è sempre lì, intorno al 90-91°. E il mio gioco è sempre lo stesso, appunto
Com’è possibile?

«Tu sei sempre scarso uguale», mi ha suggerito Jon Slow all’orecchio. «Non è che questa cosa ha a che fare con il fatto che sono entrate nel gioco un sacco di persone che non giocano a livelli alti?».
«Potrebbe essere», gli ho risposto fingendo di non aver notato il riferimento al mio gioco.

Per essere sicuro di non vaneggiare, ho chiesto aiuto a un amico matematico, Alberto Saracco, che ha anche un bellissimo canale YouTube che ti consiglio di seguire. Alberto, fra le altre cose, usa i personaggi Disney per spiegare la matematica e ha anche scritto una storia per Topolino, I ponti di Quackerberg.

In effetti, apparentemente, essendo entrata nel gioco un sacco di gente con un punteggio sotto il mio, il mio percentile avrebbe dovuto salire a parità di punteggio. E il punteggio in valore assoluto necessario per restare nel 90° percentile avrebbe dovuto scendere.

Quindi sono diventato improvvisamente più forte? No. Il sistema, quando entri nel gioco, ti assegna un punteggio base e fa giocare persone che più o meno hanno i medesimi punteggi (entro un certo intervallo). Perdi o guadagni punti a seconda del risultato della partita e del punteggio della persona con cui giochi. Ora, aumentando drasticamente gli iscritti, la probabilità che i “nuovi” si scontrino fra loro aumenta. Aumenta la possibilità che salgano di punteggio “assoluto” moltissime persone e nel frattempo, la “bravura media” si abbassa.

Cos’è successo, allora?

Che per mantenere il riconoscimento del mio percentile, ho dovuto giocare per aumentare il mio livello in valore assoluto. Servirebbero simulazioni più accurate per dimostrare che si tratti di una tendenza, ma possiamo dire che il meccanismo che ti ho descritto è una buona approssimazione. Nel frattempo la mia tentazione di pagare chess.com per le lezioni e i servizi premium è aumentata. E sono aumentate anche le persone che barano (!).

«E la morale qual è?»
«Calma Jon Slow, tu dovresti essere quello paziente», ho risposto, ancora risentito da prima.

Di morali ce ne sono tante. Una è che a Chess.com sono stati bravissimi a sfruttare questo aiuto esterno inaspettato. Infatti hanno pure messo, fra i bot con cui puoi giocare, le varie versioni di Beth Harmon, da bambina a campionessa del mondo.

Un’altra morale, invece, la vedi tutti i giorni sotto i tuoi occhi nell’infosfera.

I giocatori che sono entrati nel campo da gioco della produzione dei contenuti sono aumentati a dismisura. La quantità di contenuti che vengono prodotti è enorme. E le piattaforme in cui si gioca a pubblicare contenuti sono sempre più popolari. E tu non puoi farci proprio niente.

Certo, pur con picchi d’eccellenza, il livello medio dei contenuti si è abbassato.
Ma c’è così tanta roba in giro che se vuoi mantenere il tuo livello di visibilità devi per forza fare qualcosa, reagire. Per esempio, potresti avere la tentazione, addirittura sentire l’obbligo di giocare di più.

Ma quel che dovresti sapere – e che penso di averti dimostrato – è che se giochi di più non stai davvero migliorando. Stai solo seguendo un ciclo dell’hype che non esiste.

L’alternativa? Che poi è anche il mio consiglio spassionato? Fare tutto il contrario.

Puntare a una crescita umana, naturale, organica.
Fare meno contenuti e farli meglio.
Questa è innovazione.