Contro il determinismo (digitale)

Qualche tempo fa ho scoperto cos’è il determinismo genitoriale. Per farla breve, è una sorta di corrente pedagogica che sostiene che tutte le scelte che vengono effettuate dai genitori dal momento del concepimento (ok, esagero. Diciamo da qualche mese di gravidanza) in poi, determineranno il futuro dei figli. E lo determineranno per il meglio, sì, ma se se e solo se prenderai tutte le scelte giuste. Un altro modo per definire questo approccio è «genitorialità intensiva».

___STEADY_PAYWALL___

L’IRIS di Verona ha dedicato uno studio all’argomento, che viene sintetizzato così

«Il concetto di “intensive parenting” si è affacciato nel dibattito internazionale sulla genitorialità a partire dagli anni 2000. Esso fa riferimento a un modello culturale dominante che considera l’essere genitore (in particolare madre) come un compito estremamente laborioso, sia sul piano emozionale, sia su quello dell’investimento di tempo e risorse economiche. Pur non essendo un modello universalmente messo in pratica ma sensibile alle differenze di classe, genere, appartenenza culturale, esso tuttavia si presenta come un ideale regolativo che interviene, tra l’altro, nelle modalità con cui i professionisti valutano i genitori e le loro competenze genitoriali. Il modello dell’intensive parenting è imperniato su una forma di determinismo parentale, ovvero l’idea che ciò che un genitore fa o non fa per il figlio nei primi anni di vita abbia conseguenze di cui i genitori sono responsabili; e si inserisce pienamente nella concezione neo-liberista che mette al centro la responsabilità dell’individuo per sé e per i soggetti dipendenti (in questo caso i bambini), e la necessità di assumere una consapevolezza del rischio che conduce a soppesare le conseguenze delle azioni nel presente».

Qualche idea di quanto sia terribile questo approccio per i genitori? Di quanta ansia generi? Di quanta pressione sociale canalizzi su una famiglia in un contesto spesso fragile che è la genitorialità (ma anche l’esser figli) dei primi tempi? Di quanta pressione metta alla madre (e poi al padre, grande dimenticato dalle tematiche che riguardano la genitorialità fino a tempi recentissimi) e di quanto rischi di incrinare i già delicati equilibri di una vita che subisce il cambiamento insieme più bello e più devastante che si possa immaginare?

Per farla breve te lo dico io: è una pressione enorme, che magari hai vissuto sulla tua pelle senza sapergli dare un nome o che hai subito o che hai introiettato o addirittura scelto (sì, si può scegliere di essere genitori intensivi, ovviamente) o che hai saputo allontanare. Il determinismo genitoriale genera, fra le altre cose, un’ovvia ricerca continua di conferme circa la bontà del proprio operato. Nei paesi angolofoni chiamano questo tipo di genitorialità «helicopter parents».
L’idea di fondo è che tutti i problemi della società siano figli di una cattiva genitorialità. Un’idea quantomeno discutibile.

Il tutto ha delle conseguenze anche sui figli, non solo sui genitori. Come scrive Francesca Nicola dell’Università Bicocca di Milano questi genitori-chioccia rischiano di

«allevare ragazzi ansiosi e incapaci di accettare qualsiasi principio di autorità e dunque qualsiasi futura assunzione di responsabilità. […] Sartre diceva che se i genitori hanno dei progetti per i loro figli, i figli avranno dei destini quasi mai felici. La giovinezza dovrebbe essere l’epoca del fallimento, o diciamo il tempo in cui il fallimento è consentito. Non c’è formazione senza fallimento».

Nello spettacolo che la rivista digitale danese Zetland ha dedicato a questo tema, la giornalista che ha curato l’inchiesta sull’argomento ad un certo punto è salita sul palco con il figlio. Entrambi si sono vestiti da chimici e hanno iniziato a mescere in un calderone da chimico tanti ingredienti che rappresentavano per metafora tutte le istruzioni che si ricevono nell’essere madre – o padre, o genitori. E quindi, se ci pensi bene, anche nell’essere figli.

Il risultato? Dal calderone ad un certo punto è fuoriuscito un blob verde e fumante, completamente fuori controllo.

Non spiegherò la metafora perché è talmente evidente da risultare quasi stucchevole, quasi kitsch.
Eppure è una metafora efficace.

Il punto è che, per esempio, non c’è ragione di ritenere che tutti i bambini saranno condizionati allo stesso modo da condizioni simili”. http://www.psicologia1.uniroma1.it/repository/202/Determinismo_e_prima_infanzia.pdf

Se sono riuscito a farmi seguire fin qui, ora forse mi chiederesti: che cosa c’entra questo con Wolf?

C’entra.

Perché se c’è una sfera nella quale si è diffusa una credenza deterministica ai limiti della fede cieca e assoluta, quella sfera è il digitale.
E dal digitale si è poi espansa in altre forme, per esempio nel mondo della comunicazione, in quello dell’imprenditorialità.

Esiste la formula del funnel di conversione?
Esiste un numero che individui chiaramente la “keyword density”?
Quanti post devo scrivere su Facebook per avere successo?
Se faccio questa campagna su Instagram, di quanto aumentarà il mio fatturato?
Qual è esattamente il mio tasso di conversione?

Abbiamo cominciato a parlare così. A chiederci queste cose. A lavorare così. Qual è il risultato di questo modo di pensare?

È un calderone come quello della giornalista di Zetland. Dentro ci metterai una quantità tale di ingredienti che farai lievitare con le tue aspettative, finché, quando il blob verde uscirà fuori, a quel punto non ti resterà che cercare qualcuno a cui dare la colpa per il fallimento.

Triste, no?

Che cosa dice il metodo scientifico? Dice, più o meno, di fare così

  • Osserva
  • Individua il problema o il tema che vuoi affrontare
  • Fai un’ipotesi
  • Fai una previsione
  • Fai esperimenti per verificare la previsione
  • Raccogli i risultati
  • Interpreta e trai conclusioni

E poi che si fa?

  • Se l’ipotesi non è confermata, ricomincia da capo
    Se l’ipotesi è confermata, non hai finito

    •  puoi ricominciare da capo facendo altri esperimenti suggeriti dai risultati.
    • Oppure, quando ne hai abbastanza, puoi formulare una teoria.

Se speri che la teoria sia un punto di arrivo, non ci siamo ancora: tenterai di applicarla altrove sperando che valga. E lo farai sapendo che prima o poi arriverà qualcuno a confutare la tua teoria. Sapendo che ti piacerebbe tanto poter generalizzare ma non puoi farlo.

No, non esiste la formula del funnel di conversione.
No, non esiste la keyword density.
Non so quanti post devi scrivere su Facebook per aver successo.
Non so di quanto aumenterà il tuo fatturato se fai una campagna su Instagram.
Non so quale sia esattamente “il tuo tasso di conversione”.

E allora, se non sappiamo tutte queste cose (e non ne sappiamo molte altre), a cosa serve Wolf?

Fondamentalmente, a tre cose:
– ricordarci che non esistono le formule magiche
– raccontare gli esperimenti, nostri e degli altri, per trarne lezioni e guardare al futuro
– consolidare una comunità di persone che abbiano queste consapevolezze e che possano diffonderle

E questo, sì, è un pezzo contro il determinismo genitoriale. E anche contro il determinismo (digitale, imprenditoriale, con l’aggettivo che vuoi tu).

Orientati, osserva, decidi, agisci.
Prova, fallisci, correggi, riprova.

Vale per tutte, ma proprio tutte le questioni che affrontiamo su Wolf.

Però, attenzione. L’assenza del determinismo non significa che non si possa seguire una strada con passi precisi, che non si debba misurare. L’assenza del determinismo mon è un’alibi. E perché non sia un alibi c’è, appunto, il metodo. Un metodo che deve prevedere anche la componente serendipity. O, se preferite dirla in maniera un po’ più prosaica, il colpo di fortuna che accompagna moltissime realtà di successo.

Del resto, se fosse tutto determinato o determinabile Wolf non ti servirebbe a niente. E sarebbe tutto molto noioso.

AP