Tecnologia, libertà e altre storie secondo Paul Mason

Paul Mason è un giornalista britannico, economista, già Culture and Digital Editor di Channel 4 News. È stato il primo personaggio della televisione del Regno Unito a trasmettere con un avatada Second Life (era il 2003). Vicino al partito laburista, rappresenta una di quelle voci che, quando parlano di tecnologia, si collocano a metà fra gli apocalittici e gli integrati. E dunque è una voce che interessa molto a Wolf. Andrea Coccia lo ha intervistato in parte per Linkiesta (su economia e politica) e in parte per Wolf. Ecco qui la parte che ci riguarda.

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Il rapporto tra uomo e tecnologia è al centro del nostro futuro. Avrà la meglio la sua componente di libertà o quella di controllo?

Cito una frase famosa: i dati vogliono essere liberi. Mentre credo che le macchine, al contrario, vogliano il controllo.

Parlando in modo metaforico, ovviamente, le macchine hanno l’istinto a voler diventare un’industria e hanno bisogno di esseri umani obbedienti per funzionare; i dati, invece, vogliono rompere le fila e diventare incontrollabili. Per questo, quando mi chiedi, se delle due tendenze della tecnologia vincerà la parte del controllo o quella della libertà, io ti rispondo che sono convinto che, sul lungo termine, vincerà la libertà.

Perché?

Tutte le utopie sono basate sull’abbandono. Come disse Marx, la macchina ideale è quella che non costa nulla e che dura in eterno, ma noi non abbiamo saputo inventare questa macchina, noi abbiamo inventato il software. Io credo che quando la tecnologia assume forme sociali non può sopravvivere contemporaneamente alla proprietà privata. E la forma sociale che ha assunto l’informatica sta corrodendo le relazioni di proprietà privata.

Il problema ora è che la proprietà privata del capitalismo informatico sta rispondendo attraverso i monopoli, gli Stati Nazione, la Commissione Europea, la sorveglianza di massa, la proprietà intellettuale. Quello che dovrebbe fare la sinistra è combattere queste cose, erodere il potere dei monopoli e di tutto il resto, e deve farlo con attenzione, un pezzo per volta, in modo ragionato e preparato, lavorando sulle leggi.

Crede che la blockchain sia effettivamente un vettore di innovazione radicale e decisivo per il nostro futuro?

Quando Postcapitalismo(*) è uscito, nel 2015, non ho nemmeno menzionato il tema della blockchain e dei bitcoin, anche se erano le buzzword del momento, come d’altronde lo era sharing economy. Volevo fare un passo indietro e cercare di capire cosa era vero e cosa era falso.

Abbiamo già visto l’uso della blockchain in posti come Barcellona, dove hanno chiesto di inserire un permesso nel modo in cui la città tratta i dati personali dei cittadini e dove l’uso dei big data pubblici è considerato un obiettivo primario. Questo di Barcellona, io credo, è un esempio potente e potrebbe essere la migliore leva per superare il concetto di proprietà privata del capitalismo informatico, esattamente come lo sono stati Wikipedia e Linux [Barcellona e Amsterdam sono città pilota in questo progetto di protezione dei dati attraverso l’uso della blockchain, ndr].

E le big companies come reagiranno?
Ovviamente è chiaro che sta causando delle preoccupazioni nelle grandi compagnie tecnologiche che vorrebbero mettere le mani sui big data di Barcellona. Ma quando vado a parlare con chi lavora nelle grandi compagnie tecnologiche che sono pronte ad affrontare questo passaggio, lo sanno che questa è la sfida più grande che hanno di fronte. Perché se riescono portare a casa un grande accordo condiviso con gli stati, o con le città o addirittura direttamente con le popolazioni coinvolte, che riesca a rispettare le loro richieste e non metterli in pericolo, allora molte soluzioni diventerebbero più abbordabili.

Qual è la sua speranza?

Se riuscissero a fare un vero accordo con il popolo, la gente avrebbe grandissimi benefici sociali e loro riuscirebbero ad avere accesso ai dati in modo collaborativo, ma un corpo intermedio, cioè lo stato, avrebbe la capacità di garantire a tutti le condizioni e la protezione necessarie, un contesto in cui gli innovatori potrebbero innovare, le grandi industrie tecnologiche potrebbero fare profitti in modo rispettoso dei consumatori, senza poter sfruttare in modo sregolato i dati della gente.

Quindi sono convinto che il prossimo grande obiettivo, sia per le grandi industrie che per la gente, debba proprio riguardare il modo in cui si proteggono i permessi e i contratti che si stipulano tra le due parti, ma anche il ruolo che lo stato dovrebbe avere in tutto ciò.

Sono ottimista, credo che sia sicuramente un problema risolvibile, perché la soluzione c’è e se lo dai in mano a un ingegnere te la trova. Basta ideare una soluzione perfetta dal punto di vista dei cittadini, una perfetta per le multinazionali informatiche e una per gli stati e poi, democraticamente, decidere che versione o che sincretismo di versioni adottare. E la blockchain sarà centrale, io credo, per qualsiasi di queste, ma non è una tecnologia neutrale, bisogna stare attenti.

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