Wolf. 89 – Nuove forme di paywall poroso

Qualche tempo fa abbiamo spiegato, nel glossario di Wolf, il significato di paywall poroso. Erano i giorni di lancio del paywall del Corriere della Sera (sui cui dati pende ancora un enorme punto interrogativo. Diciamo che questa campagna, di cui parlavamo nei Post-it del numero 73 di Wolf non fa pensare che vada tutto a gonfie vele, ecco). Di forme di «porosità» ce ne sono parecchie.
Ieri, preparando l’introduzione sul calo di traffico da Pinterest, mi sono imbattuto un una di queste forme che ora viene introdotta anche dal Wall Street Journal.
Dati
Tanto per cominciare, al Wall Street Journal hanno comunicato di aver raggiunto 948.000 abbonatiChe non sono pochi (hai un bel progetto editoriale ad alto valore aggiunto? Sì, ecco, pensalo in altre lingue. E perché non lo stiamo facendo con Wolf? Be’, non lo stiamo ancora facendo con Wolf), anche se il comunicato ufficiale non spiega a quanto ammonti la cifra in termini di ricavi. Comunque, la News Corp (che fra le altre cose pubblica il Journal) nel secondo trimestre del 2016 fa segnare un profitto di 89 milioni di dollari dopo un primo trimestre in perdita.
Sperimentare per allargare il bacino
Se in casa News Corp possono essere contenti dei numeri in termini di abbonati all’edizione digitale, evidentemente non ci si vuole accontentare. E così, ecco che si dà vita a una nuova forma di paywall poroso. Come funziona? Semplice: se finisci su una pagina del Wall Street Journal a partire da una condivisione social effettuata da uno dei giornalisti del quotidiano oppure da uno degli abbonati, puoi leggere gratuitamente la storia oppure – se fornisci la tua mail – puoi leggere tutto il WSJ gratis per 24 ore.
L’operazione è davvero interessante sotto molti aspetti.
Social
Primo: incoraggia in qualche modo le condivisioni social. Se so che un mio pezzo non sarà letto da nessuno che non sia abbonato, difficilmente lo condivido. Se so che un pezzo che ho letto e mi piace, difficilmente lo condivido se penso che non lo può leggere nessuno che non sia abbonato. Ma se so che le cose vanno nella nuova modalità, be’, posso comportarmi molto diversamente. Così facendo, il WSJ raggiungerà senz’altro nuovi lettori e i suoi articoli diventeranno – anche, come logico e ovvio che sia – content marketing. Sarà poi interessante capire se dal WSJ renderanno noti dati di conversione (cioè: a fronte di quanti click «gratis» si ottengono quanti abbonati) di questa operazione.
La tua mail
La mail concessa volontariamente a una realtà editoriale è un valore molto importante. Finalmente ci sono casi in cui, anche in Italia, si comincia a capire. I dati dei tuoi lettori non devono essere di Facebook, di Google, di chissà quale OTT. I dati dei tuoi lettori – che vogliono metterteli a disposizione – sono tuoi.
La consapevolezza di essere una destinazione
Le parole di Katie Vanneck–Smith che spiega le varie operazioni in corso al WSJ dovrebbero essere una lezione illuminante per tutta l’editoria nostrana.

.@VanneckKatie@DowJones is a subscription business, we don’t see the same trends as #DNP2016 – payment for news is in growth for us
— Edelman UK (@EdelmanUK) 15 giugno 2016

Tanto per cominciare, c’è il trend in crescita di chi paga per le notizie. Ma l’argomentazione che andrebbe scolpita nella pietra a mo’ di comandamento è questa (la traduzione, come al solito, è del sottoscritto)

«La “destinazione” è diventata un posto davvero difficile da proteggere. I grandi attori come Facebook, come Google, sono diventati, in molti modi, un accesso predefinito a internet per molti utenti. Come editori, il nostro lavoro è trovare un equilibrio fra il comprendere come proteggere la destinazione che è il nostro brand, e anche lavorare con i comportamenti dei consumatori nell’utilizzare piattaforme come una via d’accesso alle notizie, all’informazione e all’intera rete». Noi siamo una destinazione. Il journal sarà sempre una destinazione.

Amen.
Questo, come vedi, non significa essere chiusi alle novità. Anzi, al WSJ sperimentano. Sono su Snapchat (dove producono contenuti dedicati) perché così facendo raggiungono un pubblico che altrimenti non raggiungerebbero e sperano di ampliare la base di quelli che si abbonano.
Usano gli Instant Articles di Facebook (qui la guida in due parti di Wolf, la prima parte nel numero 40 e la seconda parte nel numero 48), ma come? Semplice: solo ed esclusivamente per le storie che parlano di tecnologia. E perché? Perché hanno riscontrato, sperimentando, che così facendo il contenuto fa aumentare gli abbonati.
La regola è sempre la stessa: è l’economia delle soluzioni parziali. Usi quel che puoi – nel caso del WSJ possono permettersi ancora di sperimentare tutto –, misuri e decidi, poi, cosa continuare a usare e come. E nel frattempo sperimenti e ti inventi nuove forme di paywall poroso, per dire.

Wolf. 89 - Nuove forme di paywall poroso

Piani editoriali

Ieri mi sono accorto di una cosa. Mi sono accorto del fatto che piano editoriale è diventato un concetto completamente slegato

Leggi tutto