Wolf. 26

Scusarsi non basta più
Verificare si può, anche in velocità. Lo dimostra il Verification Handbook, lo dimostra la pratica quotidiana. Di strumenti a disposizione ce ne sono tanti: basta conoscerli e studiarli (qui, Andrea Coccia ne aveva proposti sei, traducendo un pezzo di Pete Brown con il consenso dell’autore). Quindi, la prima regola in caso di breaking news è la modalità damage control: rallenta e verifica. Dentro quel verifica sono contenute decine di altri suggerimenti. Per esempio: ragiona. Come poteva, quello mostrato da SkyTg24, essere già il video dell’attentato? Non c’era nessuna possibilità che fosse vero dopo così poco tempo dai fatti.
Però, insomma, sbagliare è umano, giusto? Il problema è che oggi, in velocità, se una tv all news manda un video, quel video diventa vero. Si pubblica, poi si viene puntualmente sbugiardati dai lettori, con una velocità impressionante.
A quel punto diventa fondamentale la seconda regola. Scusarsi (possibilmente reagendo in fretta).

Solo che, siccome abbiamo abituato i nostri lettori a fare le peggiori nefandezze sulle piattaforme di social network, ecco che non è mica detto che apprezzino. Basta leggere i commenti per accorgersene.

L’altro caso di ieri è stato la foto del bimbo migrante nel campo di Idomeni, in Grecia, che «chiede scusa».

Ci è caduto anche il Post. Il bimbo non chiede scusa. Il bimbo dice «mi dispiace». Sfumature? No. Sostanza. Comunque, un lettore del Post – incidentalmente, anche un collega – lo fa notare. Poco dopo la condivisione viene cambiata. Da «chiede scusa» a «mi dispiace».

Poco dopo, infine, la condivisione viene semplicemente eliminata.
Però il bambino si scusa anche per il Corriere, per Quotidiano.net, per Vanity Fair che ci fa su addirittura un editoriale dal titolo Attentati a Bruxelles, se un bambino deve chiedere scusa. Repubblica sceglie la via più ipocrita: non traduce, così come LaPresse  (sì, c’è scritto in entrambi i pezzi che è un messaggio di cordoglio. Ma non tradurre lascia al lettore l’interpretazione. E siccome il lettore avrà sentito dire ovunque «si scusa», ecco che il bambino «si scusa») e La Stampa. Su Giornalettismo il bimbo chiede scusa nel titolo e si dispiace nel pezzo.
Perfetto, invece, il Messaggero, sia nel titolo sia nella descrizione: «e sue piccole mani reggono un foglio bianco scritto con due pennarelli colorati e alzato al cielo. “Sorry for Bruxelles” con il nome della città in rosso e intriso di sangue. È il messaggio di cordoglio e solidarietà che un bambino migrante ha voluto mandare alle vittime degli attentati della capitale belga».
Ci voleva poco. Forse, oggi, scusarsi non basta più.

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