Ok, il prezzo è giusto

Ho cliccato su una pubblicità di Instagram, incuriosita da una promessa ai limiti del click baiting: «21 days to phenomenal abdominals». Mi sono ritrovata, a sorpresa, su DailyOm, un sito estremamente curato, con contenuti ricchi e seri e un linguaggio molto vicino al mio. Ho comprato uno dei loro corsi via mail, dal titolo altrettanto panteroso «Fit and Fierce Over 40», ben equilibrato dalla qualità dei contenuti.

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Impossibile per me non cercare di ricostruire il funnel di conversione pensato da DailyOm:

  • scoperta: eccoti quello che cercavi senza saperlo
  • valutazione: sei stata intrigata da un titolo e ti scopri ad apprezzare il contenuto
  • scelta e acquisto: ok, ma quanto costa? Ehi, costa il giusto! Compro, compro!

Lavorare in un mondo dominato dall’interesse per la tecnologia e dallo snobismo nei confronti del marketing e della comunicazione, quale è quello in cui mi sono trovata io negli ultimi vent’anni, significa oscillare tra il sentirsi come il proverbiale «l’orbo nella terra dei ciechi» e il rischio di dare per scontato che i tuoi interlocutori conoscano molto bene pratiche di cui hanno invece solo un’esperienza superficiale.

Per esempio, una delle nozioni di base del marketing più importanti è che il prezzo di un prodotto o di un servizio non è «costi + ricarico», ma una leva di marketing. Ogni volta che qualcuno commenta un prezzo partendo dal costo delle materie prime Philip Kotler perde un capello, infatti il poveretto è calvo da sempre.

Si sprecano anche le ironie sul cosiddetto «prezzo psicologico», cioè la consapevolezza che un prodotto a 9,99 euro è più facile da comprare di uno a dieci euro o che se con soli 50 centesimi in più comprerò una brioche di cui non avevo nessuna voglia perché ehi, chi resiste a un simile affare? Noi di Wolf, che siamo due terzi snob e una praticona (quindi indovinate chi) vendiamo l’abbonamento a 10 euro, ma un giorno farò ubriacare il direttore e gli dimostrerò con i dati che sarebbe più facile farsi comprare se ne costasse 14,99 (non per forza di meno, quindi).

Torniamo al corso via mail che mi trasformerà nella gheparda che non sono mai stata: non solo costava un prezzo per me «giusto», in realtà ne costava tre. Potevo scegliere tra 10, 25 e 40 dollari e, come penso la maggior parte delle persone, ho scelto di pagarne 10. Non credo che a DailyOm siano dispiaciuti: l’investimento iniziale nella produzione del corso è già stato fatto, quindi la mia quota non dico sia tutta guadagno, ma quasi, e lo sarà sempre di più.

Lasciar scegliere il prezzo è una tecnica molto intelligente perché comunque il prezzo più basso (quello che verrà percepito come «vero») lo definisci tu e nello stesso tempo mi suggerisci che per qualcuno quel corso potrebbe valere molto di più, 4 volte tanto. Quando Alberto Puliafito ha lanciato il corso SEO riservato agli abbonati ha usato una pratica simile, cioè ha dato un prezzo indicativo e ha lasciato libertà agli iscritti di pagare quello che ritenevano valesse il corso dopo averlo fatto. Difficile pagare meno, no? Infatti quasi tutti hanno pagato la cifra richiesta, qualcuno qualcosa in più.

Anche Akismet lascia decidere il prezzo da pagare per farsi proteggere dallo spam e in questo caso il prezzo può anche essere zero. La tariffa Personal si chiama «Name Your Price // Help us fight spam». Difficile tirarsi indietro, no? Qualcuno lo farà, ma il ragionamento è farsi fare un’offerta per un servizio che non metteresti a pagamento, non rischiare che qualcuno paghi zero.

E quindi, qual è il prezzo giusto? È quello che i tuoi clienti sono disposti a pagare. Non di più, ma soprattutto non di meno. Abbassare troppo i prezzi, anche se sei un freelance, non è sempre una garanzia di vendita. E come si trova il prezzo che i tuoi clienti sono disposti a pagare? Per definirlo si parte dalla strategia aziendale ma oggi, online, possiamo testare tutto, anche questo, partendo dal dato più importante: la tua capacità di immedesimarti nei tuoi clienti e diventare uno di loro, borsellino compreso.