Non ero qui per ascoltare

Nella seconda puntata della seconda stagione di Sense8, uno dei protagonisti riceve un’inaspettata visita da una giornalista. Nello stesso momento, un altro dei protagonisti parla con un’altra giornalista. Ne viene fuori una specie di monologo collettivo sulla definizione dell’io. Accade in una delle serie che – a mio modo di vedere – rappresenta meglio la contemporaneità e ciò di cui c’è bisogno oggi. Quel che ci interessa qui del primo incontro fra giornalista e intervistato è il fatto che la signorina, il giorno dopo il suo servizio torna dall’intervistato con delle scuse e un’ammissione di colpa.

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«Hai parlato con il cuore in mano a qualcuno che non era venuto per ascoltare».

Il primo spunto di riflessione che viene in mente è perfetto per chi, nel consesso di Wolf, ha a che fare con i giornalisti, è giornalista, lavora nel mondo del giornalismo.

Quante volte possiamo dire che il giornalismo è venuto per ascoltare? Dovrebbe essere la sua missione. Ma quante volte, invece, il giornalista non ascolta e pensa solamente ad avvalorare la propria tesi? Quante volte la missione di far click, fare il pezzo divisivo, essere un trend topic (tutte metriche semplicemente sbagliate, quantitative e non qualitative, come sappiamo ormai bene) o anche solo portare avanti la tesi, la linea editoriale del trovare le magagne ad ogni costo, l’interpretazione sbagliata e religiosamente fideistica del watchdog distoglie l’attenzione dall’ascolto, uno dei punti cardine del giornalismo?

Ascoltare le persone vuol dire sentire sul serio quello che hanno da dire, quello che chiedono, le loro istanze, i loro punti di vista. Vuol dire anche saperli raccontare, senza pretendere di poter generalizzare l’esperienza singolare – a partire dalla propria naturalmente – e senza ipersemplificare la complessità.

L’Eugene Weekly ha una rubrica di lettere ai lettori apprezzatissima. È molto diversa dalle lettere ai lettori di un generalista. È una rubrica di lettere ai lettori che afferisce a una comunità, in cui l’ascolto e l’attenzione per la comunità stessa è un elemento fondamentale del business.

Ascoltare è una parte fondamentale dell’operazione di orientamento prevista dall’OODA Loop.

Ascoltare è anche parte di quella che a molti sembra una disciplina nuova, ancora una volta perché ha un nome che ci pare afferire a un mondo recentissimo (e dunque che diventa un recentismo, si ammala di istantismo, è il contrario dell’analisi): il cosiddetto social listening.

Ci facciamo venire in aiuto ancora una volta dal testo universitario Integrated Marketing Communication di Wieland e Lin, che ci ricordano come (la traduzione è del sottoscritto)

«prima di lanciarsi nel social media management è importante osservare il contesto e considerare il pubblico e il panorama sociale in generale. Durante la fase di ascolto e osservazione, i mareter dovrebbero seguire le conversazioni a proposito di brand e società; a proposito dei concorrenti, dell’industria in generale, su quante più piattaforme è possibile. Questa procedura non servirà soltanto a identificare correttamente il tono con cui si esprime una comunità ma, ancor più importante, consentirà di individuare dove va il pubblico di riferimento e cosa sta facendo».

Individuiamo, allora, le cinque fasi del percorso di ascolto e osservazione

  • ascolta quel che viene detto di te, della tua azienda, del tuo brand

«Ascolta le conversazioni già in atto, quelle che parlano direttamente del tuo brand o quelle su altri argomenti affini. Presta attenzione alle sfumature di queste conversazioni. Qui devi giocare il ruolo dell’antropologo: quali componenti culturali osservi in questi scambi? Cosa ti sembra che sia ritenuto di valore dai partecipanti a questi scambi? Finché non comprenderai quali tipi di conversazioni si stanno svolgendo, finché non capirai chi partecipa a queste conversazioni e cosa mostra di apprezzare, sarà difficile per te fare un primo passo fondamentale nella produzione di oggetti sociali pertinenti e condivisibili », scrive Brian Solis sull’Hardvard Business Review.

Ancora una volta: non serve il tool (sì, certo, per l’analisi di massa avrai bisogno di qualche strumento, d’accordo. Ma se poi non sai interpretare, dei dati non te ne fai assolutamente niente).

Un cliente, recentemente, mi ha confessato di esser preoccupato dalla possibilità di ricevere critiche direttamente sulla sua pagina Facebook. Ho fatto rispettosamente notare che probabilmente quelle critiche avvengono già altrove e che il fatto che quelle critiche avvengano, potenzialmente, in un luogo controllabile le rende automaticamente gestibili con attività specifiche e possibilmente pianificate.

  • ascolta quel che viene detto dei tuoi concorrenti

Potrebbe sembrare controintuitivo, ma è molto più importante ascoltare cosa dicono le persone dei tuoi concorrenti anziché preoccuparsi di quel che i tuoi concorrenti stanno facendo. È il percepito del pubblico di riferimento a fare la differenza. Critiche e apprezzamenti rivolti alla concorrenza sono elementi preziosissimi per organizzare la propria strategia.

  • ascolta quel che dicono le persone del tuo mercato di riferimento, della tua categoria

Qui entriamo in quel mondo che Blake Chandlee ha definito i «chatter data», i dati delle chiacchiere. Anche qui, sicuramente, serviranno i famigerati tool ma servirà anche la comprensione dei dati e la capacità di fare ricerca. Ancora una volta, i social abbattono i costi di alcuni tipi di ricerca, proprio perché rendono visibili determinate conversazioni.

Certo, poi bisogna essere capaci di individuare le conversazioni reali da quelle fake o generate da troll o da persone non realmente interessate agli argomenti (pensa a quanti sforzi si sprecano per fare le recensioni finte su Tripadvisor invece che a migliorare i servizi, per dire) di conversazione. E quindi, anche qui, serve la capacità di comprensione dell’essere umano.

  • ascolta il tono di voce della comunità

A chi ti rivolgi? Chi sono le tue personas? Dove si riuniscono e dove si radunano? Se hai una risposta a tutte queste domande (se non ce l’hai trovala) è il momento di metterti ad ascoltare il modo in cui comunica il pubblico a cui ti rivolgi. Che cosa ama, che musica ascolta, di che brand parla, di cosa si preoccupa, che cosa desidera, come lo dice, con che tono di voce, con che parole si esprime.

  • ascolta differenti piattaforme sociali e canali

Le persone conversano un po’ ovunque. Per strada e al bar, su Facebook o su Twitter, su Instagram o in chat, nei forum. Le conversazioni in chat privata non le puoi ascoltare,  (dice Facebook che non lo fa nemmeno lui). Tutte le altre, in un modo o nell’altro, sì. Puoi fare interviste o andarti a leggere i forum, puoi fare sondaggi o stimolare conversazioni a tua volta.

Qualsiasi cosa faccia, però, non avrà alcun valore se non ti approccerai in modalità ascolto alle persone. Vuol dire con empatia. Sarà un caso, se secondo Lana e Lilly Wachowski, è proprio l’empatia a fare la differenza tra l’homo sapiens e l’homo sensorius, quello capace di essere umani, il protagonista di Sense8.