L’ESPERIMENTO DAL VIVO

Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice «Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?»
I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede «Ma cosa diavolo è l’acqua?»


La storiella, che probabilmente hai già sentito in questa o in altre forme, è tratta dall’incipit del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon College, 21 maggio 2005 (qui il testo integrale). 

Citatissimo, come incipit, di solito non lascia molto spazio al resto del contenuto e, soprattutto, al finale, che invece, come spesso accade, è la parte davvero importante. Wallace chiuse così il suo discorso:

«È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.” È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora. Auguro a tutti una grossa dose di fortuna».

Qui portiamo avanti quel lavoro che dura tutta la vita e restiamo immersi nell’acqua, senza perder di vista quello che stiamo facendo. 

Tutto questo per dire che c’è un solo modo per “capire” una piattaforma digitale, ed è abitarla, come i pesci nell’acqua. Lo dico a scanso di equivoci, giusto per evitare di fare la figura dei due pesci giovani, ma anche quella del pesce anziano: nessuna delle due parti, a mio modo di vedere, ne esce benissimo.

Così, ecco cosa ho fatto ed ecco perché penso che ti possa tornare utile.

Il martedì mattina ho la mia lezione di laboratorio digitale al Master di Giornalismo dell’Università Cattolica di Milano. 

Questa volta ho deciso di trasformare la lezione in un laboratorio vero, una sperimentazione “senza rete”.

Ho creato una stanza di conversazione su Clubhouse, ho invitato chi, nella classe, aveva già Clubhouse a far parte della stanza, ho pianificato la live durante la lezione e dato due compiti:
– alcune persone partecipavano alla conversazione (abbiamo scalettato i loro interventi di massima, in qualche minuto, per non perdere di vista la necessità di programmare, persino un contenuto volatile)
– altre persone hanno avuto come compito quello di riassumere ciò che avremmo imparato, su Facebook e su Instagram.
La meta-conversazione
L’argomento di conversazione che avevo immaginato suonava così: Clubhouse e l’era della consapevolezza digitale.

Diciamo che il titolo è un pensiero positivo, un desiderio, più che una certezza. Ne ho scritto qui, qualche tempo fa.

Ho fatto una breve introduzione spiegando Clubhouse nei suoi funzionamenti base per chi non li conosceva ancora. In sostanza:
– si crea una stanza
– il o i moderatori possono decidere chi “sale” a parlare (ci sono già slang relativi alla piattaforma, ovviamente)
– dentro la stanza, in alto, si vedono gli host e i moderatori (contrassegnati da una stellina), sono on stage, sul palco
– subito sotto al palco, come se fosse unspecie di VIP Area dei concerti, ci sono le persone che sono dentro la stanza e che sono seguite su Clubhouse dagli host
– sotto ancora c’è il resto delle persone che entrano nella stanza
– solo chi è sul palco può parlare
– chiunque può alzare la mano, chi modera decide a chi dare la parola e può in ogni momento silenziare il microfono di chi può parlare e farlo “scendere” dal palco

La scaletta

Compresa la dinamica, era necessario darsi una scaletta per animare un po’ la conversazione all’inizio. Per me è un requisito fondamentale (per dire, vale anche per le live su altri social).

Molto semplice, prevedeva

– mia intro, sulla consapevolezza digitale e sul “chi siamo e cos’è questa stanza”, con il compito di ripetere la intro in breve, cioè chi siamo e cosa stiamo facendo, senza esagerare ma ogni volta che la conversazione lo richiedesse: nella stanza entrano persone in maniera imprevedibile e quando sono troppe si rischia di perdere il filo
primo interventoearly adopter: una persona che ha iniziato a usare Clubhouse praticamente da subito
secondo interventoinfluencer su altro social: una persona che lavora su un social a vocazione visiva, per capire cosa pensa del social a vocazione audio
terzo interventonewbie, una persona novizia, che entrava nel social per la prima volta

Le regole d’ingaggio

Queste le regole che abbiamo condiviso:
– un solo moderatore, che preferisco chiamare deejay (in questo caso io), con compiti di aprire e chiudere i microfoni e fare da collante fra i vari interventi
– interventi brevi (max. 3 minuti l’uno)
– ampia disponibilità a far parlare le persone che si proponevano per intervenire all’interno della conversazione e quindi scaletta versatile (abbiamo deciso a priori che avremmo toccato tutte e quattro le tematiche, nell’ordine)
regole d’ingaggio chiare: niente off topic per non trasformare la conversazione in un calderone vuoto e senza senso
un segnale convenzionale per chi sforava: il mio microfono che si apre e si chiude, lampeggiando dunque sugli schermi di chi sta seguendo la chat (questo per le persone con cui avevo concordato gli interventi)
pronto a interrompere con educazione ma decisione eventuali interventi debordanti, aggressivi, off topic, troppo lunghi

Tutte le decisioni relativamente alla scaletta e alle regole di ingaggio sono scaturite dal percorso di osservazione e di orientamento che ti proponevo la settimana scorsa

Il risultato

Questo tipo di pianificazione (al netto dell’immersione nella piattaforma e della condivisione di punti di vista sul digitale, che invece durano da tutto l’anno scolastico), l’abbiamo fatto in 20 minuti. Tutto il resto è stato improvvisato sulla base di questi paletti.

Il risultato è stato una conversazione mai off topic, in cui sono intervenute una decina di persone, quasi tutte sconosciute, con buoni spunti, un bel ritmo, molte considerazioni interessanti, che ora ti mostro, traendole da quel che ha pubblicato la classe su Instagram.
 
Le discussioni possono durare tanto. C’è spazio per approfondire, ma c’è anche il rischio di non tenere le persone agganciate dall’inizio alla fine. Non è detto che sia quello l’obiettivo, ovviamente. 

L’obiettivo (almeno parziale, intermedio) è quello di lasciare alle persone che partecipano alla conversazione un buon ricordo di quella conversazione, un valore aggiunto, un senso al tempo che hanno dedicato per partecipare. 
Abbiamo parlato un po’ di modelli di business, dal punto di vista di Clubhouse, che pure al momento non ha grossi problemi (vale 1 miliardo di dollari) ma ci dovrà ben pensare.

Non abbiamo affrontato, nello specifico, i modelli di business, ma più che altro abbiamo parlato in linea di principio di fiducia o sfiducia nei confronti del futuro di questa piattaforma (i cicli di interesse sono talmente rapidi che c’è già chi dice “è morto”).

Qui vale la pena di approfondire le strade possibili, che sono:

– exit: si cresce e poi si vende al miglior offerente (Facebook? Ma lì si sono già abituati a clonare)
– pubblicità: solita roba. Arrivano i brand, si monetizza per spazi pubblicitari (testo sulle stanze? spot audio invasivi?)
– modello da servizio di crowdfunding/subscription: Clubhouse può diventare una sorta di Patreon o Substack per l’audio, per i podcast, con l’obiettivo di attirare creator di contenuti di qualità. I creator portano persone che pagano per sostenerli, Clubhouse si prende una piccola percentuale su ogni forma di abbonamento 
– acquisti in app: funzionalità a pagamento per creator “premium”

Se ti vengono in mente altre possibilità di far soldi per Clubhouse, parliamone!

Secondo gli scettici, l’approccio non è attuale, è troppo analogico, richiede troppa attenzione e troppo tempo. 
Una delle tematiche emerse con insistenza è quella dell’autorevolezza. 

Ci si può fingere competenti su una piattaforma come Clubhouse, oppure no?

La risposta sembra banale:
– sì, sul breve periodo
– no, sul lungo

Ma il concetto di autorevolezza nell’ecosistema delle piattaforme, che prima appiattisce le differenze e poi costruisce nuove gerarchie (spesso ereditate da altre piattaforme, ma comunque con ampi spazi di crescita per voci non note), è un concetto complesso, che si basa su tanti elementi e che non riguarda solamente la quantità di persone che ti seguono o la quantità di interventi che fai.

Certo, anche su Clubhouse ci sono già i classici trucchetti per crescere. Ci sono “stanze” di conversazione dove non si conversa, si sta lì solo perché dopo un po’ che ci stai i moderatori ti “promuovono” nella parte alta della chat, a quel punto diventi più visibile e ti prendi un po’ di seguito. È seguito fittizio, è un seguito sporco, esattamente come il trucchetto del follow/unfollow su Instagram, esattamente come comprare link, esattamente come qualsiasi scorciatoia che gonfia le metriche quantitative. 
 
Infine c’è il tema della volatilità del contenuto. 

Fra i pro non registrati dalla mia classe annovero il fatto che nell’ecosistema digitale la volatilità, l’impermanenza sono diventati una caratteristica vincente per tutto ciò che non necessita di un’archiviazione, di una permanenza.

Uno dei contro più gravi, a mio modo di vedere, è che la volatilità impedisce qualsiasi lavoro di contrasto alla disinformazione: se dico falsità, se diffondo false credenze, false notizie, se disinformo, l’unico modo per contrastare questa disinformazione è l’azione immediata, nella medesima stanza (ammesso che la persona intenzionata a contrastare la disinformazione sia ammessa a parlare).

Foto di Alex Kondratiev su Unsplash

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