La verità ti fa male, lo so

Che succede quando un’azienda dice la verità ai clienti? In teoria è quello che tutti vorrebbero, per poter prendere una decisione informata e scegliere in base ai fatti. La pubblicità mente. Le aziende mentono. Non prendeteci in giro. Basta manipolazioni, ritocchi, omissioni.

Io ne ero convinta, non al punto da sbattere i difetti in faccia ai clienti prima di tutto il resto, ma di consigliare e praticare un minimo di sincerità e trasparenza. Poi, a giugno 2020, EasyJet ha pubblicato un post sulla Calabria, questo:

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Questo copy ha un’infinità di problemi e anche di errori fattuali, con tanto di chiusa passivo-aggressiva sui fan di Instagram. Non è la verità, ma ci si avvicina abbastanza, soprattutto nell’attacco. Non ci interessa tanto in quanto tale, ma per la sua storia, quella più difficile da scoprire: se ci si limita allo sbertucciamento da epic fail.


Da dove arriva il post di EasyJet sulla Calabria?

Il vero problema di questo post è la lingua, non solo nel senso della qualità del testo, ma della nazionalità. È un testo tradotto (male) dall’inglese, ma soprattutto è un testo pensato per un pubblico straniero che non conosce tanto bene il Sud e forse neanche l’Italia.

Favorisco un altro screenshot per darvi un’idea delle conoscenze geografiche altrui e non lo faccio per riderne, perché non è che noi sappiamo bene bene la geografia del resto del mondo.

Per molti turisti l’Italia è Roma-Firenze-Venezia, oppure il Garda, le Dolomiti e Capri. Ha quindi molto senso spiegare la Calabria ai norvegesi o ai cinesi, meno spiegarla agli italiani.

È come se un italiano volesse andare in Colombia e leggesse che è un paese meraviglioso, poco sviluppato turisticamente perché la principale industria è la coltivazione della droga. Ci sta.

Possiamo dire quindi che questo post non andava tradotto, non per evitare di far incazzare i calabresi (che non l’hanno presa benissimo), ma perché un italiano ha già quelle informazioni, magari un po’ più precise.

Andiamo avanti nell’analisi dell’origine di quel post: a un certo punto è venuto fuori che era la traduzione (maldestra) di un testo della Lonely Planet, questo.

È qui che le cose si fanno interessanti rispetto alla domanda iniziale, per due motivi. Il primo è che ho scoperto, parlando con tante persone diverse, che le stesse informazioni sono accettabili dalla Lonely Planet, ma non da EasyJet. Non è che ho scoperto oggi che la fonte condiziona la relazione con un contenuto, quello che è interessante è la motivazione. Che è: Lonely Planet è fatta da giornalisti/autori che ci informano, EasyJet è una linea aerea che deve vendere biglietti. E quindi non può dire la verità? O è un errore dirla dal punto di vista commerciale? Non ho ancora ben capito come decifrare questa reazione.

Quello che rende tutto molto interessante, però, è il secondo motivo, perché il testo di Lonely Planet è un branded content (in vendita) di Easy Jet. Sono delle guide realizzate in collaborazione (cosa che di solito vuol dire: pagate dall’azienda) e con un briefing a dir poco bizzarro (ovviamente ricostruito da me, non conosco il vero briefing): collegare due destinazioni turistiche con voli che ancora rendono poco. Giudicate voi:

Io le ho trovate solo sulla versione francese del sito, questa la copertina dell’incredibile guida “Italia del Sud / Paesi bassi” con un pizzaiolo che lancia in aria una ruota di bicicletta.

Ora, io non amo il sarcasmo, le critiche, gli epic fail e compagnia, quindi mi limito a lasciarvi il gusto di scoprire (se sapete il francese) gli improbabili testi di descrizione di queste guide.

Torno al punto di partenza: vogliamo sapere la verità dalle aziende? Vogliamo che una linea aerea produca i contenuti di una guida nota per essere vagamente ansiogena (la definizione non è mia, ma calza a pennello)? E soprattutto: se quel testo fosse stato scritto meglio, rivolto al pubblico giusto, con un briefing meno ubriaco, avrebbe senso?

O dobbiamo davvero concludere che in realtà vogliamo essere un pochino presi in giro dalla pubblicità?


La foto d’apertura è di Serena Repice Lentini su Unsplash