La SEO che ha rotto Google

In una conversazione sul gruppo Facebook di Wolf è successo questo.

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Un nostro abbonato ha scritto questa testimonianza nel gruppo di conversazione su Facebook:

«Ultimamente ho sviluppato una pigrizia da ricerca. Dettata forse dall’eccesso di offerta. Non ho più voglia, quando cerco qualcosa su Google, di spulciare decine di siti prima di trovare ciò che cerco. Non avendo spesso neanche il tempo per farlo, ho iniziato ad affidarmi alla legge di attrazione universale chiamata Facebook. Cerco su Google quello che mi serve, la parola chiave più precisa che riesco a pensare. Poi chiudo il browser e aspetto. Oggi ho accompagnato mio figlio al primo giorno di scuola. Mi hanno chiesto di etichettare TUTTE le cose che porta con sé. Non avevo il tempo di capire come fare. Ho aperto la ricerca, ho scritto “etichette per scuola” e ho cercato. Poi ho chiuso il browser. Stasera apro il feed e arriva questa sponsorizzata».

In linea del tutto teorica, questa strategia non dovrebbe essere davvero possibile (al momento non risulta che si possa fare ufficialmente e con strumenti di Facebook retargeting su Facebook di quel che cerchi su Google. Il che ha anche un suo senso). Ma non siamo qui per dubitare dell’esperienza dell’abbonato: le vie di Facebook, quando è aperto e in funzione, quando il suo pixel di tracciamento è installato, sono evidentemente infinite.

La conversazione è andata avanti, parlando di come ci sia la sensazione generalizzata che “Google si sia rotto”. E che si sia rotto per colpa della SEO. Ma cosa vuol dire esattamente? E cosa possiamo farci?

Cerco di spiegare quel che è capitato in questi anni.

L’obiettivo primario di chiunque faccia SEO è, storicamente e banalizzando, portare traffico su un sito.

Abbiamo spiegato più volte come, invece l’obiettivo reale di chiunque faccia bene SEO come parte di una strategia integrata e relazionale dovrebbe essere portare persone realmente interessate ai contenuti, al servizio, ai prodotti, a tutto quel che viene proposto su quel sito. Cioè, in gergo, traffico qualificato. Diamo per assodato questo concetto di base.

Il modo “più semplice” (e comunque di lungo periodo) per portare traffico qualificato su un sito è produrre contenuti che rispondano alle ricerche di queste persone.

E così, esistono strumenti che ti consentono di fare la ricerca delle chiavi di ricerca, che ti consentono di maneggiare lussureggianti e rigogliosi file excel con tonnellate di parole chiave con cui farcire i tuoi testi nel sito.

Fortunatamente, piano piano, si è diffusa anche la consapevolezza che farcire il tuo sito di questi contenuti non basti. Ci vuole qualcosa in più. E così sono apparsi i contenuti lunghi, dettagliati, particolareggiati, aggiornati successivamente, come nell’esempio che ho utilizzato più volte come caso di studio e di scuola che riguarda il mio border collie.

C’è un problema, però, in tutto questo. E il problema è che sfugge al controllo un elemento fondamentale. Sempre di più – e la tendenza non può che continuare a incrementarsi – le persone si aspetteranno, quando utilizzano uno strumento come un motore di ricerca, a trovare facilmente proprio quello che stavano cercando. Addirittura si stanno abituando a venir raggiunti in maniera “naturale” da quello che stavano cercando, come il nostro abbonato.

È pericoloso? È distopico? Certo che se non si costruisce consapevolezza su come funzionano questi meccanismi lo è.

Ma qui stiamo parlando d’altro. Stiamo parlando del fatto che l’ossessione per portare traffico qualificato sul proprio sito non basta più, perché ti porta a servire altri esseri umani con siti ottimizzati per portarceli sopra ma non per servirli al meglio.

E allora, ecco che anche la SEO richiede una riprogettazione secondo i principi della “centralità umana” (o Human Centered Design, che poi non è nient’altro che un altro modo per parlare di Design Thinking) dei contenuti e del modo in cui facciamo la SEO.

Mi spiego meglio.

Produrre longform che danno tutte le risposte su un certo argomento non basta più (o meglio, a dirla tutta, non è mai stato sufficiente).

Bisogna, tanto per cominciare, ragionare in termini di user experience e integrare tutte le possibili fonti di accesso al sito e ai contenuti, mentre penso alla SEO. Fare in modo che quei contenuti diano veramente in pasto a chi atterra sulla pagina quello che stava cercando. Avere pronte delle campagne di retargeting se mi sono perso per strada qualcuno. Portare le persone a convertire sempre di più, a costo di perdersi traffico in termini quantitativi. Persino a costo di perdersi nominativi.

Ti porto su una pagina che ho ottimizzato SEO, in quella pagina, prima di tutto, mi sincero non solo di aver intercettato tutte le tue possibili domande, ma anche di metterti dentro le vere risposte. Poi, verosimilmente, se sto facendo le cose bene, ho installato il pixel di tracciamento di Facebook su quella pagina, ti raggiungo anche su Facebook o Instagram, magari ho una campagna di retargeting su parole chiave anche in AdWords, ti faccio iscrivere al mio database ma spiegandoti bene perché dovresti e cosa posso fare per te, insomma: ti rendo la vita facile fino ad un certo punto, ma quando poi voglio tirarti dentro il mio mondo, allora metto lì – e solo lì, non prima – un punto di frizione. Per non avere il dubbio che tu mi stia lasciando i tuoi dati solo perché tanto ormai ci hai fatto l’abitudine. E poi, se mi hai lasciato i tuoi dati e se posso veramente fare qualcosa per te, faccio in modo di contattarti in maniera umana, prima possibile.

Questo significa, per esempio, che invece di lavorare su migliaia di parole chiave perché così intercetto il traffico, mi concentrerò su pochi contenuti, che renderò sempre più ricchi, pertinenti e pieni di risposte reali alle domande che vengono fatte dalle persone.

Questo significa, per esempio, che analizzerò le ricerche che le persone fanno sul mio sito, per capire cosa cercano una volta che ci sono atterrate, e che mi comporterò di conseguenza.

A tendere, però, anche rispondere davvero alle domande non servirà, perché sarà un’altra cosa che faranno tutti. Sul lungo periodo non farà che vincere la capacità di relazionarti con le persone nella maniera più facile possibile. Saremo talmente abituati a essere raggiunti da contenuti giusti che vorremo da un lato qualcuno capace di proporcene altri sorprendenti. E dall’altro vorremo che quel che diamo per scontato possa avvenire in maniera facile.

Chissà, magari anche leggendo nel pensiero.

Ancora una volta, si parte dalla SEO e si arriva a qualcosa di molto più complesso e strategico. Se affronti tutto questo con una consapevolezza umanistica, le cose appaiono molto più chiare.

Se vuoi un take away pratico da tutto questo:

  • ripensa ai tuoi contenuti
  • pensa a quali domande dovrebbero rispondere veramente
  • fai in modo che le risposte si trovino facilmente
  • una volta che hai fatto tutto questo, non perderti pezzi per strada e trova tutti i modi di raggiungere, direttamente o indirettamente, anche i visitatori occasionali
  • fai in modo che il percorso di chi trova le risposte nei tuoi contenuti sia facile fin quando deve esserlo
  • restringi la possibilità che le persone che non sono interessate a te ti contattino
  • fai in modo che il resto, quel che devi devi servire con umanità, arrivi in maniera precisa e puntuale