Il caso di Casey

Estate 2019 – San Francisco, esterno giorno

Cinque giornalisti italiani sono lì, per caso, per sorte, forse un po’ per bravura: diciamo un sano mix di queste cose. Naso all’insù, all’ingiù, smartphone in mano a fotografare ogni cartello. Ad un certo punto, uno dei cinque giornalisti ferma un passante e gli fa: «Casey?»

Scambiano due battute, poi Casey se ne va sorridente e il giornalista italiano torna fra i suoi compaesani e dice loro: «quello era Casey Newton!».

Casey Newton, se lo cerchi su Google, trovi uno snippet che fa così.

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«Casey Newton is The Verge’s primary source for Silicon Valley news» 

Questo è da annotare quando parliamo di Google CV. Non è un Google CV. È il suo curriculum vitae, la sua esperienza. The Verge è una delle più importanti testate al mondo per argomenti che riguardano la Silicon Valley. È stata fondata nel 2011, Newton ci lavora dal 2013. Quindi sicuramente avrà fatto cose anche prima di entrare in The Verge.



Comunque, se clicchi sul link, la bio di Casey Newton prosegue così:

Casey Newton is The Verge’s primary source for Silicon Valley news, reporting on the people and products shaping the future of technology and culture. His daily newsletter, The Interface, explores the intersection of social media and democracy.

Casey Newton, Silicon Valley Editor


Autunno 2020, Esterno giorno. Milano

Nel nuovo dehors-post-covid di un bar, leggo i miei social e vedo che nella mia piccolissima bolla di giornaliste e giornalisti c’è una strana eccitazione per Casey Newton. Ne ha scritto Baekdal, mi arriva qualche messaggio su WhatsApp, se ne parla persino nei gruppi di conversazione di Wolf e di Slow News.

Perché? Perché sette anni dopo l’inizio della sua permanenza in The Verge, Casey Newton ha spiccato il volo. Lo dice lui stesso, così:

«After seven great years at The Verge, I’ve decided to take a flying leap»

Casey Newton, Why I’m leaving The Verge

Dopo essermi sincerato che lo conoscessero (no, non lo conoscevano. Zero su trenta), ho chiesto alle studentesse e agli studenti del Master in Giornalismo di cui sono assistente di laboratorio digitale quale potrebbe essere il senso di “spiccare il volo” per uno come Casey Newton che lavora per una testata come The Verge (no, non conoscevano nemmeno The Verge).

Le risposte sono state

  • assunto da Google
  • assunto dal New York Times
  • consulente del governo USA per la regolamentazione delle piattaforme


Se ci pensi bene sono risposte legittime. Ma non sono la risposta esatta.

Per Casey Newton, spiccare il volo significa, in buona sostanza, diventare freelance/imprenditore di sé stesso. Aprirsi, cioè, la sua newsletter personale su Substack. Eccola qui. Si chiama Platformer.

Vediamo alcuni magneti per il suo progetto, per la sua delivery.

  • Sito. La sua homepage, la homepage del suo sito personale, in questo momento, è fatta così. Alla faccia della delivery del contenuto. Qui siamo al minimalismo assoluto. C’è la faccia di Casey Newton. C’è una riga e mezza (anche meno), che ripete in buona sostanza la bio di The Verge, per quanto riguarda i contenuti.
  • Il pezzo in cui spiega perché lascia The Verge e racconta, fra l’altro, i sette anni di carriera (fra cui la serie su un anno di vita di tre moderatori di Facebook), il pricing e il fatto che farà anche da volontario per Substack, la piattaforma che ha scelto per il suo progetto.
  • Il suo profilo Twitter con poco meno di 107mila follower mentre scrivo
  • La newsletter che continua a scrivere fino al 2 ottobre (cioè, domani, nel momento in cui scrivo questo pezzo) per The Verge (!)

Allora è questo il futuro del giornalismo? I progetti personali?

Mafe de Baggis scrive: «Da un po’ dico che gli influencer sono l’evoluzione della stampa periodica. Intendo questo. Non lo vedo come un male».

E in effetti è proprio così. Casey non è soltanto un giornalista ma è anche un influencer, almeno per le 20mila persone che seguono regolarmente la sua attuale newsletter per The Verge (20mila, non 2 miliardi: per favore, non biasimare gli studenti che non lo conoscono. È una grande lezione di uscita dalle nostre bolle. E comunque, da oggi lo conoscono!).

Mi preme, però, in termini di analisi, spiegare perché, sì, questo è uno dei possibili futuri del giornalismo, ma non è il futuro. E anche analizzare il percorso, la struttura dell’offerta e tutte le considerazioni del caso

  • capitale di fiducia personale: Casey Newton può costruirsi un progetto personale perché ha lavorato sodo, negli anni, per costruirsi un rapporto fiduciario con il suo pubblico. È la costruzione della carriera che ad un certo punto consente, se lavori per una testata, ad esempio, il passaggio a un’avventura personale. Allo stesso modo, puoi iniziare un’avventura personale sapendo che ci vorrà tempo. Almeno sette anni, ma direi anche qualcosa di più;
  • capitale di fiducia del brand: The Verge è una testata riconosciuta nel settore tech, per quanto relativamente giovane (nata nel 2011), e ha un suo capitale di fiducia che le viene riconosciuto, anche per la bravura dei suoi corrispondenti;
  • trasferimento del capitale di fiducia dal brand al giornalista e viceversa: se esiste una buona quota di fiducia nei confronti di entrambe le parti, ci può essere una crescita reciproca e un circolo virtuoso che fa del bene a entrambe le parti. È questo il caso;
  • consapevolezza personale, rapporto con l’editore: se Casey Newton può trasportare alla versione free della sua newsletter nuova le mail di chi si era iscritto a quella di The Verge e se può fare una serie di lanci del suo nuovo progetto personale sulla newsletter che fa per The Verge mente ancora ci lavora è perché i rapporti fra le due parti sono chiari. Probabilmente fin dal principio
  • struttura dell’offerta: è identica a quella di Ben Thompson con Stratechery (cinque newletter a settimana, una gratuita), che infatti Newton cita come benchmark nel suo pezzo introduttivo
  • progettazione: mesi, dice Newton. Ci ha messo mesi a progettare Platformer. Perché la progettazione rimane uno dei temi essenziali per sperare di arrivare a una consegna del contenuto che sia all’altezza del contenuto stesso
  • capitali di partenza: Newton non ne parla, ma possiamo immaginare che stipendio e buonuscita da The Verge gli consentano di rischiare
  • tasso di conversione: sappiamo che i 20mila che ha nella sua newsletter per The Verge vengono importati automaticamente alla version free del nuovo progetto. È un 1 a 1 non privo di rischi, che comunque ci dice che in questo caso il capitale di fiducia personale supera (almeno negli intenti) il capitale di fiducia nel brand giornalistico. Newton dice poi che in 5 giorni 6mila persone si sono iscritte al nuovo progetto (non sappiamo quanti paganti). Potrebbero già essere più che sufficienti per garantire al progetto piena sostenibilità.
  • altissima specializzazione: credo che non ci sia bisogno di aggiungere nulla in merito, se non che il concetto “non essere generalista, specializzati” dovrebbe essere ormai chiaro. Anche se sappiamo che non lo è.

E allora, perché non è il futuro del giornalismo ma sicuramente un possibile futuro non per il giornalismo ma per creator (persone che creano contenuti, generano fiducia, costruiscono relazioni)?

Perché non tutti possono farcela. Perché il budget per sostenere queste persone non è infinito.

D’altra parte, è un meccanismo che anche gruppi di creatori di contenuti possono replicare.