I robot che scrivono e i contenuti significativi per un’ecologia digitale

Il 16 dicembre del 1977 nella redazione brasiliana del Papersera – il giornale di Paperopoli edito da Paperon ‘de Paperoni e con Paperino e Paperoga reporter – fa la sua apparizione Roboerto (Roberto, in Italiano), il robot giornalista.

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Paperoga reagisce alla presentazione dello zio-editore con entusiasmo. Paperino decisamente meno. Il primo è convinto che Roboerto li libererà dalle incombenze più sgradevoli, noiose e macchinose. Il secondo, invece, teme che Zio Paperone voglia sperimentare per liberarsi di loro.

In effetti, i piani del taccagno grande risparmiatore Paperon ‘de Paperoni sono proprio quelli che teme Paperino: usare il robot per fare a meno dei reporter umani.

Non ti spoileriamo il finale della storia (in italiano la trovi sulla raccolta Papersera pubblicata a giugno del 2021), ma ti facciamo notare che è stata pubblicata quarantatré anni prima di questo pezzo.

A che punto siamo quarantatré anni dopo?

Partiamo dalle reazioni ottimistiche e pessimistiche rispetto all’innovazione tecnologica: sempre uguali. C’è chi teme che le macchine ci sostituiranno, chi lo auspica, per liberarci il tempo (in questo senso, consigliatissima la lettura di Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo).

Jarvis (e in generale gli assistenti AI per la scrittura di testi)

Abbiamo testato Jarvis, un assistente di intelligenza artificiale per la scrittura di testi. Praticamente, il Roberto di zio Paperone, ma nel 2021.

Jarvis non promette di sostituirti o di sostituire chi fa i copy. Promette di essere un assistente di scrittura. Siamo molto più vicini alla visione di Paperoga che non a quella di Paperino e Zio Paperone.

In particolare, Jarvis ti consente di scegliere fra un menù vasto di possibilità. Vale davvero la pena di guardarle tutte

Come vedi le più “impegnative” sono assistenza su long-form e storie creative.

Non potevamo che iniziare dall’assistenza su long-form. Funziona così. Tu inizi a scrivere e poi l’assistente virtuale ti suggerisce frasi con completamento. Lo abbiamo fatto in lingua inglese, cercando di impostare un long-form sul concetto di “slow journalism”.

A sinistra dell’immagine vedi le cose che ti chiede di impostare Jarvis. Un titolo. Una descrizione breve del contenuto. Alcune keyword che vuoi vengano utilizzate. A destra c’è il foglio di scrittura.
Il programma richiede che si inizi a scrivere in maniera umana. Poi suggerisce dei completamenti, usando ricerche su Google e informazioni che reperisce in rete. Quel che vedi è un mix di risultato umano-macchina.

Poi abbiamo testato altre funzioni.

Qui, per esempio, abbiamo provato Jarvis in italiano, per il framework marketing AIDA (Attention, Interest, Desire, Action. Se vuoi approfondirlo, trovi tutto qui). Anche qui, devi dargli alcuni dati di partenza. In particolare, il nome del prodotto o dell’azienda, una descrizione del prodotto, il tono di voce che vuoi che il sistema implementi e, naturalmente, la lingua. Come vedi dall’immagine, mentre scriviamo l’italiano è ancora in beta.

E in effetti come vedi l’italiano non è molto soddisfacente. Eppure, se riproviamo in inglese le cose migliorano decisamente.

Molto interessante anche la Company bio. Se confronti il nostro inglese di partenza con l’output di Jarvis vedrai che c’è un netto miglioramento, addirittura!

In Jarvis hanno prodotto anche una bellissima tabella su Notion con 155 diversi toni di voce e i loro significati, se vuoi ispirarti (non solo per il tuo assistente virtuale, ammesso che tu voglia provarlo, ma anche per i tuoi lavori con i testi).

Prima di passare a un piano a pagamento, puoi generare testi fino a 10mila parole e testarlo, per esempio, per annunci Facebook o Google, descrizioni di prodotto Amazon e via dicendo.

Cosa possiamo dire di Jarvis?

Dal punto di vista dell’usabilità è uno strumento davvero semplice e intuitivo. Questo non significa che usarlo ad alto livello sia facile. Però può essere davvero quel che promette: un assistente per chi scrive già, per chi scrive molto, per chi deve lavorare con il testo assiduamente e, spesso, pedissequamente (mai provato, che so, a compilare schede prodotto di un e-commerce da 10mila prodotti?). Per usarlo in questo modo, però, ci vuole apprendimento, addestramento dell’AI, studio e lavoro. In questo video trovi un esempio di scrittura di annunci pubblicitari per Facebook.

È molto utile, non solo per capire Jarvis – come al solito, qui il singolo strumento ci interessa fino a un certo punto – ma proprio per capire le logiche che ci sono sia nel background di una macchina basata sull’AI, sia nella scrittura di un testo, di qualunque genere.

Purtroppo per il mercato italiano siamo ancora parecchio indietro. Ma se avessimo un’agenzia o una content factory per il mercato inglese, non avremmo dubbi e lo proveremmo in maniera intensiva, dopo averlo testato e imparato.

Se hai tempo da dedicare all’apprendimento di qualcosa di diverso, seguire i training che ha preparato il gruppo di lavoro di Jarvis può essere un’ottima idea.

Insomma: per il momento gli assistenti AI non sostituiranno gli esseri umani, ma potrebbero essere degli assistenti eccezionali. Per liberare il tuo tempo dalle cose più meccaniche e dedicarti a quelle più significative. Ma cosa ce ne facciamo del tempo che liberiamo?

La responsabilità di produrre contenuti significativi

Se possiamo, sempre più, affidare alle macchine la produzione dei contenuti meno significativi – fino ad arrivare a un futuro paradossale non troppo lontano di siti scritti da bot e visitati da bot. È esattamente così che funzionano alcune content factory – vuol dire che ci rimangono tempo e responsabilità.

In un testo di giornalismo fondativo, The Elements of Journalism (Bill Kovach e Tom Rosenstiel), il giornalismo viene paragonato alla cartografia.

«Crea mappe per cittadine e cittadini, per navigare nella società. È questa la sua utilità, la sua ragion d’essere economica. Il concetto della cartografia aiuta a capire di cosa dovrebbe occuparsi il giornalismo.

Come per qualsiasi mappa, il valore del giornalismo dipende dalla sua completezza e dalla sua proporzionalità.

I giornalisti che dedicano più tempo e più spazio di quanti ne meriterebbero a notizie sensazionalistiche o a scandali che riguardano una qualche celebrità – perché pensano che venderà – sono come i cartografi che disegnavano l’Inghilterra o la Spagna grosse come la Groenlandia, perché farlo era più popolare.

Potrebbe anche avere un senso, nel breve periodo, ma inganna i viaggiatori e distrugge la credibilità del cartografo.

Il giornalista che scrive quel che “sa essere vero”, senza controllare, è come l’artista che disegnava i mostri marini negli angoli lontani del Nuovo Mondo.

Il giornalista che lascia fuori molte altre notizie dal suo lavoro è come il cartografo che non dice al viaggiatore quali altre strade ci sono».

Il parallelismo è perfetto e può essere esteso a chiunque produca contenuti.

Nell’era della sovrabbondanza, nell’era in cui possiamo farci aiutare dalle macchine per i nostri contenuti testuali (ma anche – non solo in futuro – per quelli fotografici, video e via dicendo), le persone che informano, che comunicano, che creano contenuti, dovrebbero impegnarsi in una specie di giuramento d’Ippocrate del lavoratore digitale. Significatività, proporzionalità, trasparenza, valore per chi consuma il contenuto, onestà intellettuale e senso di responsabilità, sono valori che possono tranquillamente condividere tutte le persone che lavorano nell’infosfera.