Anche gli Svizzeri, nel loro piccolo, si ribellano

Republik è una piccola ribellione nel mondo del giornalismo, una rivolta che nasce e si sviluppa nel Paese più neutrale del mondo, la Svizzera, seguendo il principio per cui «una democrazia che funziona esige media che funzionino. Per questo c’è bisogno non solo dei giornalisti ma anche dei lettori».

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Apriti cielo. Sono bastate queste due frasi, faticosamente tradotte dal tedesco, a farmi innamorare di Republik. E se pensi che mi sia lasciato ammaliare da una campagna di crowdfunding che usa il linguaggio del marketing per rendersi il più accattivante, beh forse hai ragione. Ma andiamo con ordine.

Republik nasce tre anni fa da una squadra di giornalisti elvetici madrelingua tedeschi che nel gennaio 2017 hanno deciso di fare il grande salto: creare un giornale vero, assumersi la responsabilità di ciò che si pubblica, sviluppare una forma contemporanea di giornalismo che non guardi solo alla meccanica dell’informazione ma anche al modello di business. Scrive il team di Republik – oggi composto da quasi una dozzina di professionisti del giornalismo, dell’IT, della comunicazione e del mondo delle start-up – che oggi il problema dei media tradizionali è principalmente uno: il modello di business. E, per inciso, noi di Slow News sposiamo in pieno questa teoria.

Per oltre un secolo infatti gli editori hanno stampato i giornali cosa che, per loro, era come stampare moneta: vendevano notizie ai lettori e vendevano i lettori alla pubblicità. Hanno munto la vacca il più a lungo possibile e poi hanno cominciato ad acquisire i giornali più piccoli, alcuni facendoli appositamente fallire per eliminare la concorrenza. Il risultato è che oggi il mercato editoriale svizzero è dominato all’80% da tre editori: Tamedia, NZZ e Ringier. Più di recente è successo qualcosa che nessuno pensava fosse possibile: i grandi gruppi editoriali svizzeri hanno cominciato a fondersi tra loro, o meglio a con-fondersi, e il giornalismo elvetico è diventato una specie di Frankenstein, quello di Mel Brooks: corpaccione incontrollabile e cervello ABNORMAL.

Ti ricorda qualcosa questa situazione?

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Nel sistema capitalistico tutto questo processo di acquisizioni e fusioni ha perfettamente senso. E, in effetti, il mercato dei media bene o male regge ancora, seppur diventando sempre più impacciato: se venisse a mancare una sola tessera di questo fragilissimo domino le altre crollerebbero come palafitte travolte da uno tsunami. Questa tessera sono i lettori, sui quali tutte queste fusioni ed acquisizioni ad uso e consumo dei grandi gruppi editoriali hanno avuto come unico effetto la repulsione: l’appiattimento del panorama editoriale e la riduzione del pluralismo è, per un lettore, la distruzione della stessa identità umana e la situazione è talmente grave che molti di questi lettori nemmeno se ne sono accorti. Semplicemente hanno smesso di leggere, come Duccio Patané suggerisce scientemente al un preoccupatissimo Augusto Biascica.

«Senza giornalismo non c’è democrazia e senza democrazia non c’è libertà. Quando il giornalismo muore allora muore la società aperta, la libertà di parola, la concorrenza tra le migliori menti. Il giornalismo libero è stata la prima necessità della rivoluzione liberale ed è la prima cosa che si abolisce in ogni nuova dittatura. Il giornalismo è figlio del Secolo dei Lumi, chi fa giornalismo si assume una responsabilità per e con il pubblico.

Una democrazia funziona come tutto il resto nella vita: le persone hanno bisogno di informazioni corrette per prendere le decisioni. […] Il giornalismo si impegna per fare chiarezza, è nemico della paura secolare di ciò che è nuovo, ha bisogno di passione, competenza e sincerità. E di un pubblico curioso, attento e senza paura».

Sembrano banalità quelle contenute nel Manifesto di Republik, che si propone come non subalterno a questo sistema mediatico-economico, promette di occuparsi di tutto ciò che è poco chiaro o complicato «eliminando il rumore di fondo» e di trattare grandi temi e dibattiti di attualità dando ai propri lettori il sugo delle storie. Rallentare per chiarire, filtrare ciò che è inutile da ciò che è importante, condensare e approfondire, pagato dai lettori per i lettori e senza inserzioni pubblicitarie. Slow News elvetica.

Nei primi tre anni il team di Republik si è occupato principalmente di trovare investitori (i nomi sono ancora ignoti ma saranno pubblicati presto), donatori e business angels, che si sono impegnati nel progetto con 3,5 milioni di franchi (in euro la cifra è quasi equivalente). Fondi che sono stati vincolati ad una singola condizione: che Republik fosse un progetto che incontra realmente la necessità dei lettori. Per questo motivo il team svizzero ha lanciato il 26 aprile scorso un crowdfunding sul proprio sito, il cui obiettivo minimo era trovare 3.000 persone disposte a sottoscrivere un abbonamento, 240 franchi a testa pagati fondamentalmente sulla fiducia: significava raccogliere 720.000 franchi in tutto. Ai sottoscrittori è stato promesso un anno di abbonamento a partire da gennaio 2018 e l’accesso scontato a tutti gli eventi organizzati dal giornale, diventando praticamente «una parte del progetto» come socio sottoscrittore di una cooperativa.

I lettori che diventano editori del proprio giornale e, promette Republik, in quanto tali hanno anche la prospettiva di ricevere dei dividendi (per i grandi e i piccoli investitori viene calcolato circa 1180,4 franchi l’anno con un’investimento pari al prezzo di costo di un anno di letture). Ai lettori svizzeri costa meno un abbonamento-investimento a Republik che un anno di caffè al bar: secondo il modello di business adottato da Republik con 3.000 abbonati il giornale può pubblicare per due anni ma l’obiettivo per il medio-periodo, cinque anni, è di raggiungere quota 22.000 abbonati paganti.

Nel proprio modello economico-editoriale, Republik si ispira a due esempi decisamente brillanti: l’olandese De Correspondent (50.000 abbonati paganti, membro dello Slow News Movement ne abbiamo scritto nel numero 154 di Wolf.) e il norvegese Aftenposten: «Dimostrano che un giornalismo concentrato sul lettore è un modello di successo» ha detto Christof Moser, uno dei co-fondatori, a Persoenlich.com.

Sono bastate poche ore dal lancio del crowdfunding per frantumare il precedente record, detenuto proprio dall’olandese De Correspondent, per un’iniziativa giornalistica simile: il team di Republik si era dato 36 giorni di tempo per trovare i 750.000 franchi e i 3.000 abbonati ma l’obiettivo è stato raggiunto in appena 7 ore e mezza. Dopo 16 ore gli abbonati erano 5.000 e le donazioni 1,4 milioni di franchi e nel momento in cui stiamo chiudendo questo pezzo (8 maggio 2017, ore 13:00) gli abbonati sono 10.557, il nuovo obiettivo è 12.000, e dal 26 aprile sono stati raccolti più di 2,6 milioni di franchi. Questo mette a tacere chi sostiene che: a) i crowdfunding non funzionino, b) che il «buon giornalismo» non interessi a nessuno e che comunque c) massimizzare i click e un buon paywall sono l’unico modello di business sostenibile.

Che se ne faranno di questa inaspettata valanga di franchi?

La risposta è fantastica: i fondatori avevano previsto di creare due corsi di formazione per giovani giornalisti ma visto il successo della campagna hanno già annunciato che i corsi saranno quattro. Da gennaio tre stagisti saranno retribuiti per lavorare nella redazione e tutti i collaboratori, che prendono la medesima paga, guadagneranno uno stipendio «alto». Sopratutto i redattori perché «investiamo nelle teste per fare buon giornalismo» e infatti grazie al successo del crowdfunding sarà possibile assumere una tredicesima persona da aggiungere al team di fondatori. Ma non è tutto: Republik sarà anche un service editoriale.

Insomma l’obiettivo non è solo portare avanti un giornale ma cambiare la percezione delle cose: «Il nostro obiettivo è cambiare la logica del sistema dei media di oggi» stabilendo un nuovo modello nel mercato dell’informazione: nessun compromesso in termini di qualità, nessuna pubblicità, «giornalismo senza stronzate» e pagato dai lettori. La spinta propulsiva che nasce dall’entusiasmo di chi ha aderito all’iniziativa è la migliore risposta che un giornale che ancora non pubblica niente potesse avere: con questi presupposti c’è da leccarsi i baffi.