Se il prodotto non c’è, non essere social. Prima o poi qualcuno scopre il bluff

L’ironia della sorte e le combinazioni del caso possono portare a risultati inattesi. Devi sapere che a volte i numeri di Wolf vengono terminati e impaginati e inviati durante viaggi che, nella maggior parte dei casi, faccio in treno. Da semi-pendolare.

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Potrebbe sembrare un «rischio», ma quando uno fa il pendolare per 24 anni (!) su varie tratte e in varie regioni diventa un rischio calcolato. Quasi sempre.

Oggi, ironia della sorte, sto andando a Roma a parlare ad un convegno sul trasporto pubblico locale. Sono uscito di casa alle 6.30 con 20 minuti di margine su ciascuno dei treni che dovevo prendere.

Arrivato alla prima stazione, la App di Trenord confermava la regolarità del viaggio che avevo organizzato fino a Milano. Sai com’è, sempre meglio controllare.

Così ho iniziato a impaginare il numero di Wolf che, come puoi immaginare, per la mia parte avrebbe dovuto parlare di tutt’altro. Sapevo che mi sarebbero bastati 15 minuti per chiuderlo. Ad un certo punto però sento un passeggero in attesa sulla banchina dire a un altro che un amico comune non sarà in orario perché gli hanno cancellato il treno su quella tratta. Mi insospettisco, ricontrollo la App di Trenord: nessuna variazione. Siccome 24 anni di pendolarismo ti fanno diventare paranoico, apro la app di Trenitalia e scopro che il regionale Torino Milano (!) che avrei dovuto prendere a Rho Fiera per arrivare comodamente in Centrale era stato cancellato. Smetto di lavorare a Wolf e comincio a cercare soluzioni alternative, incroci, a calcolare quanto ci metterò con la metro. Scopro che c’è un altro treno in ritardo da Rho Fiera a Milano. Solo che sul più bello anche il mio accumula ritardo. Arrivo sulla banchina di Rho Fiera che quello per Centrale mi sfila davanti. Allora tento la carta finale: il cambio di prenotazione.

Fortunatamente gli organizzatori del convegno – che oggi avranno una sorpresa, visto che il contenuto del mio intervento cambierà radicalmente, proprio come questo numero di Wolf – avevano fatto una prenotazione flessibile. Trovo uno su tre (sic) posti sul treno successivo, tutto via telefono perché dalla app non mi consentiva il cambio (!), prendo la metro da Rho Fiera per evitare altri scherzi ferroviari, arrivo in centrale e salgo sul treno, dal quale sto ri-scrivendo il pezzo di oggi.

Potresti dire: va be’. È un caso. No, non lo è. Nelle ultime due settimane ho preso treni locali cinque volte. In due casi (Magenta-Milano, A/R) il treno ha avuto 15′ di ritardo. In due casi (Corbetta-Varese) il treno che dovevo prendere (in orari diversi: quando uno è pendolare diventa paranoico, appunto) è stato cancellato. Oggi pure. Fa un 100% di casi sulla linea S6.

Durante un intero anno di pendolarismo sulla linea S9, da Albairate a Milano (sai com’è, un pendolare prova anche a cambiare tratta, di tanto in tanto, per vedere come va) ho notato che il treno garantito ogni mezz’ora, a volte, slittava. Così: prima veniva annunciato un ritardo di 5′. Poi di 10′. Poi di 20′. Quindi nessuna informazione. E poi arrivava il treno della mezz’ora successiva. Spesso in ritardo di 5′. Senza che la soppressione venisse annunciata o meno.

La questione sembra sistematica. Il collega Andrea Sparaciari ne ha seguito gli sviluppi per anni, su Metro. In uno dei suoi articoli ha intervistato un giovane pendolare che, per un anno, ha fotografato, sistematicamente, il tabellone degli orari del treno che prende. Ha calcolato di aver buttato 45 ore di vita sulla banchina della stazione.

Allora, Simone (questo il nome del pendolare) ha scritto a Trenord una lettera di 17 pagine. Nella lettera sono collezionati episodi di ogni genere (li ho visti praticamente tutti, nelle tipologie raccontate da Simone). Persino di un treno perso per una coincidenza che parte con 2′ in anticipo. Ti invito a leggerla perché è quasi necessaria per capire alcune questioni.

Simone rivorrebbe indietro il suo tempo. E ha ragione. Il tempo è l’unica ricchezza che abbiamo. Lo abbiamo scritto anche nel manifesto di Slow News.

Sui social – ecco, lo sapevi, vero, che questa storia avrebbe riguardato i temi di Wolf? – Trenord esiste. Guarda come dà teneramente il buongiorno ai suoi clienti (il messaggio è identico per tutti i profili Twitter di tutte le direttrici.

Anche le vittime di Trenord si sono organizzate per anni sui social. Purtroppo il profilo Twitter ora è praticamente inattivo, così come la pagina Facebook.

Ma vanno riletti, oggi, perché ti danno l’idea della sistematicità del meccanismo e del disservizio.

La pagina Facebook aveva come cover una foto scattata il 14 dicembre 2012. Fu una specie di Caporetto dei pendolari, quel giorno. E fu un giorno che durò un’intera settimana. Io c’ero e l’ho raccontato.

Spotted Trenord, invece, è rimasta attiva su Facebook: è meno efficace nella comunicazione del disagio, anche se più «umana»: ci sono anche i messaggi dei pendolari che si vedono e si vorrebbero conoscere.

C’è tanta umanità, ci sono tante storie e c’è un mondo – quello dei pendolari – che ha dei bisogni e avrebbe bisogno di ricevere dei servizi. A proposito: siccome i ritardi sono una piaga e il pendolare ha bisogno anche di socialità, se ti viene in mente un bel servizio da offrire loro, questa è un’occasione da non perdere.

Dal punto di vista di Trenord basterebbe anche una riduzione dei treni (che tanto viene attuata artificiosamente!): permetterebbe alle persone di organizzare le loro vite. Vite che, nella maggior parte dei casi, non sono frutto di una scelta e non sono un’opzione.

Ora. Cosa dirò al convegno romano sul trasporto pubblico locale e i social e il giornalismo? Quello che dico qui, che è anche dove voglio andare a parare.

Cosa ci stai a fare sui social se non hai un prodotto? Perché dai il buongiorno ai tuoi clienti se generi loro disservizio? Qual è lo scopo di comunicare qualcosa che non c’è?

Il racconto, la narrazione, l’autopromozione, l’utilizzo integrato delle piattaforme funzionano solamente se hanno solide basi. E le solide basi si costruiscono su elementi concreti e relazionali:

  • il prodotto (contenuti, esperienze, servizi…)
  • le persone (lettori, avventori, clienti…)
  • la qualità. Che deve essere reale e deve essere anche percepita da chi riceve il prodotto, non te la devi raccontare tu
  • le promesse. Offrire un servizio significa fare una promessa a chi lo riceve. Le promesse vanno mantenute
  • la fiducia. Un link, una condivisione social, un orario di un treno scritto su un tabellone o una app, una foto di una stanza d’albergo sono promesse. Il gusto di una birra, il silenzio di quella stanza d’albergo, la puntualità, quello che scopro dopo un click, mi rivelano se hai mantenuto le promesse. Se l’hai fatto, ti meriti la mia fiducia. Tornerò da te, ti userò ancora – se posso scegliere e non sono obbligato –, ti pagherò. Se mi hai mentito, a lungo termine ne pagherai le conseguenze, purtroppo per te.

Se non hai un prodotto, se non metti al centro le persone, se non mantieni le promesse e non sei in grado di guadagnare e mantenere la fiducia delle persone, allora scappa dai social. Non dare il buongiorno a gente incazzata con ragione (lo sai che i social sono anche il regno degli urlatori dell’hate speech. Se li fomenti tu stesso, cosa stai facendo di buono, esattamente?), non raccontare niente. Perché prima o poi qualcuno scoprirà che sei un bluff. Passa il tuo tempo a migliorare il tuo prodotto. Anche la narrazione che ne farai, poi, avrà un senso.