Scrivanie e piramidi

Il riordino della scrivania, per un freelance, si pone in cima alla piramide di Maslow. La vetta, la punta più alta a cui un essere umano possa aspirare, che – secondo lo psicologo americano – corrisponde al bisogno della realizzazione di sé, alla creatività, alla spontaneità e alla capacità di problem solving. Come spiegare questa correlazione apparentemente azzardata? Con un esempio pratico.

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Per inciso, la più grande opera di riordino mai perseguita dalla sottoscritta.

Rimandavo la riorganizzazione del mio studio da mesi. A dire il vero, erano anni che ci mettevo mano senza mai venirne a capo. Col tempo si era trasformato in sgabuzzino, lavanderia, deposito, cantina, dimenticatoio, magazzino di carta e oggetti dimenticati. Fino alla débacle totale degli ultimi mesi, che mi impediva fisicamente di poter accedere a qualsivoglia angolo della stanza.

Risultato: il mio studio era diventato il luogo di casa da cui scappare, una stanza che mi metteva a disagio. Non lo sentivo un luogo mio, men che meno un posto dove potersi concentrare e dove trovare nuova energia vitale per un lavoro precario per definizione. Alla scrivania preferivo il tavolo della cucina, il divano e persino il letto, con conseguenti dolori da incipiente tunnel carpale e posture scorrette che ammazzavano la cervicale. Sistemare lo studio era diventata una necessità fisica.

La decisione è stata presa una mattina di metà settimana, appena sveglia. Era una giornata di sole, il giorno giusto per veder chiaro quando è tutto un polverone (non solo metaforicamente). La conditio sine qua non per iniziare era la volontà di finire nella stessa giornata: le grandi manovre vanno eseguite e terminate nel giro di poche ore, per evitare di perdere lo slancio motivazionale. La seconda condizione necessaria era non avere intorno nessuna distrazione: niente figli, marito, mamma, suocera, call programmate, impegni di lavoro, visite dal dentista. L’unica eccezione, nel mio caso, era la presenza di Lucky, che seguiva attonito la grande manovra.

Come scriveva il saggio Andrea Coccia, serve sempre un metodo, anche (e soprattutto) per il riordino. Il mio poteva essere banalmente dare fuoco a tutto, ma ho optato per un esercizio zen a me tanto caro: butta via ciò che non serve. Less is more. La prima mossa è stata quindi quella di fare spazio, riuscire a vedere il pavimento, capire la quantità di roba che si era accumulata nel tempo.

Ergo: ho accatastato fuori dalla porta tutto quello che c’era nello studio. E quando dico tutto, intendo tutto. Così ho avuto modo di visualizzare mentalmente il mio nuovo studio, ho valutato gli spazi, capito quale fosse il problema e poi ho agito a colpo sicuro (quasi sicuro, ma nel caso non mi fosse piaciuta la nuova disposizione avrei sempre avuto tempo di aggiustare il tiro). Nel mio caso, il problema fondamentale era l’ubicazione della scrivania: contro il muro, vicino alla porta, sovrastata da due mensole cariche di libri. In una parola, soffocante.

Ho tolto quello che non serviva, come una pesante e lunga mensola, ho spostato la scrivania sotto alla finestra e ho sistemato la cassettiera (che prima era sotto la scrivania) di fianco. Mi sono premunita di due scatoloni (che ho riempito a oltranza), straccio per la polvere e mocio. Sì, perché una bella pulita fa sempre bene, specie in ambienti dove giacciono tonnellate di carta. Poi ho passato al setaccio gli oggetti di varia natura che non c’entravano nulla con il mio lavoro e ho trovato un’ubicazione per ognuno di loro.

Ecco, una cosa che ho trovato fondamentale per procedere celermente con questo riordino è stato sistemare immediatamente ogni cosa al suo posto. Di solito utilizzavo la tecnica delle pile per categorie: questo di qua che poi lo sistemo, questo di là che va insieme ai documenti, quest’altro nella categoria non meglio definita come “cancelleria”. Alla fine succedeva sempre che le pile rimanevano accattaste per infiniti giorni. Questo modo di procedere ha velocizzato non poco i tempi e mi ha aiutato a vedere la luce in fondo al tunnel.

Una volta imparato la tecnica del “butta via tutto quello che non ti serve” predicata da Marie Kondo (qui i suoi due libri: il primo, più “oltranzista” e il secondo, più “morbido”. I link rimandano al piano di affiliazione di Amazon e una percentuale, in caso di acquisto, sosterrà Wolf), puoi persino permetterti di fare due pause caffè rilassate e una pausa pranzo con visione di Netflix nel mezzo.

Cosa ho buttato? Riviste, documenti scaduti, agende e calendari scaduti, libri (sì, libri!), appunti, istruzioni d’uso di ogni tipo, brochure. Tra parentesi: i libri che ho buttato erano davvero brutti e inutili. Quelli che non ho mai letto né mai leggerò ed erano in ottimo stato li ho donati alla biblioteca.

La scrivania, a quel punto, ha preso forma quasi da sola. Mi sono circondata essenzialmente di due tipologie di oggetti: quelli utili e quelli che mi fanno stare bene. Nella prima categoria rientrano agende, cavi, cuffie, portapenne, post-it, block-notes, libri che ho intenzione di leggere nei prossimi mesi (gli altri sono rimasti sulle vecchie mensole), documenti (suddivisi in due raccoglitori: urgenti e non urgenti), bacheca, biglietti da visita, cancelleria e calendario. Nella seconda categoria ci sono poster, fiori, sveglia-calendar kitsch, tenda-pizzo, scarpe scarpe e ancora scarpe, riviste, disegni di Figlia, magneti, quadri. Non oso immaginare cosa potrò aggiungere in vista del Natale.

La sedia, caro ricordo di mia nonna, che era letteralmente sepolta da vestiti e borse, è tornata ad essere bianca e libera. Ora è il mio pensatoio, il mio angolo relax, dove riesco (quando Figlia e Figlio me lo consentono) persino a sedermi per dieci minuti al giorno a riordinare le idee.

Adesso il mio studio e la mia scrivania sono uno spazio mio, che mi rappresentano e che mi permettono di lavorare in serenità e di liberare la creatività. La mia mente è stata sgombrata da almeno un terzo dell’elenco delle cose da fare quotidianamente ed è in grado di riorganizzare i pensieri molto più lucidamente. Che è praticamente metà del lavoro, quando sei freelance, mamma e precaria. E questo è stato possibile solo grazie al riordino.