Questi giovani di oggi no, però, io ti giuro mai li capirò

Ogni generazione pensa che la successiva abbia dei grossi problemi, senza più capire i propri (o forse senza mai averli capiti). Prendi la musica, per esempio. Da un po’ di tempo a questa parte va di moda il filone di articoli tipo questo, di Michele Monina, che sostiene che «la musica di merda ha vinto» e che è «tutta colpa di Spotify».

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Qualunque cosa voglia dire «la musica di merda ha vinto», non credo sia «colpa di Spotify». Credo, poi, che anche parlando di musica «non di merda», ogni generazione abbia rimproverato a quella successiva – generalizzo, perdonatemi – che, per dire, Elvis fosse meglio dei Beatles, che sicuramente erano meglio dei Queen che per forza di cose erano meglio dei Coldplay e via, pedalare (non so quali siano i tuoi generi musicali preferiti, ma ci siamo capiti).

Qui ci sforziamo di uscire da questo genere di loop, che poi arrivano a ragionamenti tipo «oggi i giovani leggono meno» o altre amenità, tutte rinforzate da robusti pregiudizi autoconfermativi che si mettono lì, come buttafuori nerboruti, ad impedirti di uscire dai tuoi schemi per entrare nella realtà complessa.

Ma noi che ne sappiamo dei «giovani»? Eppure, la fantomatica Generazione Z va compresa, perché prima o poi dovremo cominciare a parlare anche a loro. Risulta allora particolarmente interessante farsi un giro nello studio realizzato al Giffoni 2016 e presentato a Giffoni 2017 da DeRev (il pdf lo puoi scaricare integralmente da qui).

Il campione intervistato è pari a 1836 ragazzi in totale, divisi in fasce di età nel range 10-22 anni:

  • 10-12 anni: 796 intervistati;
  • 13-15 anni: 503 intervistati;
  • 16-17 anni: 276 intervistati;
  • 18-22 anni: 261 intervistati»

Oggetto delle interviste queste tre aree, enormemente interessanti per Wolf.

  • Esigenze e abitudini formative percepite in proiezione professionale
  • Familiarità e livello di pratica con la dimensione «social»
  • Modalità qualitative di fruizione del prodotto culturale.

Partiamo dalla dimensione social. Vediamo la tabella offerta con i valori assoluti e poi una sua rappresentazione grafica.

È fondamentale considerare non solo il totale ma anche le varie fasce d’età, perché le differenze sono macroscopiche.

Facebook, come si può vedere, non è il social più utilizzato dai giovani e giovanissimi: è whatsapp a farla da padrone, seguito da Youtube e da Instagram. Buon quinto posto per Snapchat.

Se la distribuzione su Facebook è pressoché trasversale rispetto alle fasce d’età in esame, lo sbilanciamento verso Youtube, Whatsapp, Instagram e Snapchat verso la fascia 10-12 è notevolissimo. E, sorpresa (si fa per dire), resuscita Skype!

In rappresentazione grafica, il predominio delle proprietà di Zuckerberg non-Facebook fra i giovanissimi risulta estremamente evidente, così come quello di YouTube. Snapchat si conferma una realtà da non sottovalutare, anche se evidentemente il lavoro di clonazione, soprattutto su Instagram, ha contenuto i danni.

Mi piace, poi, passare a un altro tema fondamentale che riguarda da vicino il marketing conversazionale (come se non bastasse l’aver «scoperto» che i giovani si parlano fra di loro con strumenti che consentono comunicazioni private).

Mi pare che questo grafico distrugga, una volta per tutte, quella «sensazione che i giovani d’oggi non parlino più fra di loro dal vivo» o «in famiglia».

Sempre relativamente ai social, potrebbe essere utile soprattutto a coloro che pensano di poter misurare il sentiment, dimenticandosi di coloro che, semplicemente, non si esprimono, sapere che il 46,29% di coloro che hanno risposto al sondaggio ha detto: «Guardo quello che pubblicano gli altri ma non faccio molto altro». Vuol dire quasi la metà. Quando misuri il sentiment ti stai dimenticando di loro, sempre. Non solo. Il 34,42% dichiara di produrre contenuti ogni 2-3 giorni. Quelli che ci stanno lì sempre, costantemente, sono una minoranza (e siamo noi!). Coerentemente con questa attitudine, il tipo di reazione che lasciano più di frequente è l’approvazione quando approvano (like o analoghi), seguito a ruota dalla pubblicazione di foto (l’accesso agli smartphone a cui si aggiunge l’uso dei social fotografici ha fatto il suo dovere. Il video viene ancora visto come un qualcosa di meno accessibile per l’autoproduzione).

I contenuti più graditi sono quelli video, seguiti da quelli fotografici.

Per quanto riguarda, poi, le «abitudini di consumo», guardiamo un po’ cosa dicono i giovanissimi del Giffoni in termini di fiducia rispetto a messaggi promozionali (nel senso più lato possibile del termine). In senso assoluto, continua ad avere il maggior peso il consiglio di un amico (immagino che nessuno possa rimaner sorpreso da un dato simile). Poi tocca alle recensioni di terzi sul web. Infine, a quelli che a noi vecchietti piace chiamare influencer. Non così lontana la pubblicità in televisione (che è ancora una voce molto importante per i 18-22).

Gli influencer sono fortemente preponderanti per i giovanissimi (10-12), che sbilanciano il valore assoluto. Quasi fanalino di coda (si salva solo perché i 18-22 non sono molto interessati a quel che dicono i loro contatti sui social) la voce pubblicità sui giornali.

Il rapporto, che va senz’altro studiato integralmente, ci dice altre cose interessanti. Che questi benedetti giovanissimi non sono dei solipsisti (la maggior parte di loro ama accedere a contenuti di intrattenimento in compagnia di amici e famiglia, per esempio). Che amano ascoltare musica, andare al cinema, guardare serie tv e leggere quando sono giù (chi l’avrebbe mai detto, eh?). La voce «navigare sui social» è l’ultima scelta. Cresce all’abbassarsi dell’età ma, per dire, i 10+ probabilmente non vanno ancora al cinema da soli.

Per quanto riguarda le aspettative professionali, invece, non sorprende affatto scoprire che i giovanissimi non hanno dubbi sull’importanza o perlomeno sull’utilità della tecnologia. Mi pare il caso di soffermarsi un po’ di più sui dati rispetto alle aspettative lavorative.

Il libero professionista la fa da padrone. Le generazioni che hanno meno di 22 anni non concepiscono minimamente il concetto di lavoro dipendente. Questo dovrebbe insegnarci moltissimo in termini di comprensione della realtà. Quel che è accaduto al lavoro – probabilmente è solo l’inizio – ha ridisegnato la società stessa: politica e corpi intermedi, laddove non hanno cavalcato la questione, sono stati ampiamente carenti non solo nell’anticipare ma addirittura nel capire e nel prendere misure conseguenti a questo cambiamento.

Il nostro approccio a questo sistema dovrebbe essere tale da prevedere che queste nuove generazioni, insieme al popolo di over 70 che a breve sarà un terzo della popolazione italiana, avrà dei bisogni specifici.

Bisogni che sono anche formativi.

Perché nelle schede di autovalutazione, moltissimi pensano di saper utilizzare la tecnologia meglio di tutti i loro coetanei (oltre il 30%), ma sappiamo bene che c’è sempre il famigerato – e molto di moda in questo periodo – effetto Dunning-Kruger in agguato. E che vale sempre il mai troppo osannato meme RTFM: il manuale, no, non lo leggono i giovani e nemmeno i vecchi!

È chiaro che non si possa avere un approccio riduzionista a questo tipo di dati, ed è altrettanto chiaro che, avendo io le mie convinzioni sul tema, anche mentre te li propongo interpreto in maniera da collocare quel che leggo e quel che trovo in un percorso autoconfermativo: per quanto io cerchi di non farlo non posso esserne immune, è parte integrante della natura umana.

Quel che mi sembra utile, però – oltre a scaricarsi e studiarsi questo studio che in molti casi non fa che offrire considerazioni  e informazioni che avremmo potuto desumere osservando la realtà che ci sta intorno e ricordandoci che, molto spesso, il futuro è il passato – è sforzarci di scardinare le nostre convinzioni.
Poi, prendere questi dati e usarli per costruire percorsi, progetti, idee.

[Nota: questo post è stato realizzato utilizzando Pdftables come strumento per convertire le tabelle pdf in tabelle utilizzabili in file excel o simili e poi Infogram per realizzare i grafici]