Wolf. 85

Il Museo Poldi Pezzoli
Se sei a Milano domani, 10 agosto 2016, potresti approfittarne per andare al Museo Poldi Pezzoli. Non solo l’ingresso è gratuito, ma ci sarà anche da vedere se i cacciatori di Pokémon accoglieranno l’invito dell’istituto di cultura.

Qualche giorno fa, sulla pagina Facebook del Museo, è apparso un annuncio proprio relativo a mercoledì 10 agosto. Nell’annuncio si spiega che il museo è un Pokéstop (a proposito: è notizia di ieri che la Niantic ha dovuto sospendere la possibilità di richiedere che un luogo diventi un Pokéstop. Evidentemente, come si dice in gergo, sono stati floddati di richieste e segnalazioni).  La parte interessante della questione, dal nostro punto di vista, sta nella gestione di social management da parte dello staff del museo.
L’annuncio è stato subissato di commenti, in cui la discussione si è rapidamente polarizzata – come sempre accade – fra sostenitori e detrattori dell’iniziativa. Questi ultimi sono in numero decisamente superiore.
Perché?
Ovvio: perché i «fan» di una pagina di un Museo sono interessati al Museo, non ai Pokémon. Anzi. L’aver «ceduto» alla moda ludica dell’estate viene visto dai frequentatori (virtuali o reali) del Poldi Pezzoli come un minus, come un modo per abbassare il livello della frequentazione. I commenti sono tutti pubblici.
Questo è uno di quelli più equilibrati (si sa, il cyberbullismo trova molte vie per esprimersi, anche nei luoghi più impensati).

Ai commenti negativi lo staff del museo ha ritenuto di rispondere così: «Carissimi, sappiamo che voi che entrate in museo lo apprezzate per quello che ha da offrire. Noi siamo convinti che anche un momento ludico possa essere un momento di scoperta per un pubblico che magari non si avvicinerebbe al museo. Inoltre l’invito non si slega totalmente dalla collezione: è in corso la mostra Ore Giapponesi e un percorso orientale in museo».
Insomma, aderire a una delle manie del momento diventa, per il Museo, un modo per attrarre nuovi visitatori. È un’idea vincente? Può funzionare?
La risposta, come al solito, è «dipende». Quasi di sicuro può funzionare per un luogo di intrattenimento generico, come un locale. Per un museo, invece, potrebbe essere rischioso. Per un motivo molto semplice: attirare nuovi visitatori non deve andare a scapito di quelli storici, fedeli, o di quelli che, comunque, cercano i tipi di contenuto che il Museo offre. Sono loro la ricchezza del Museo stesso.
La conversazione «social» non si è fermata. Così ho pensato di scrivere allo staff del museo, perché ci interessa per Wolf.

Chiaramente hanno apprezzato e risposto.

Non resta dunque che aspettare. Io resto scettico sull’iniziativa (non perché sono fra quelli che non amano le contaminazioni pop, solo per una questione di mezzi utilizzati, di comunicazione e via dicendo. Per dire: non sono sicuro che fosse una cosa da pubblicizzare sulla fanpage ufficiale del museo), ma l’intento e la trasparenza con cui ci si approccia da parte degli ideatori mi sembrano comunque interessanti da analizzare. Del resto, qualche risultato positivo c’è già stato.

Vedremo cosa ci diranno dopo il 10 agosto.

Wolf. 85

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Volessimo sintetizzare la situazione odierna della pubblicità digitale (banner, pre-roll & co.), potremmo descriverla sommariamente in questo modo: gli utenti

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