Wolf. 33

Ghostbusters
(feat. Michele Medda, 2006/2016)

Janine: Ha le mani d’oro, io lo vedo. E scommetto che le piace anche leggere!
Egon: La stampa è morta.
Janine: Ah, davvero? Ma che cosa affascinante. Sapesse io quanto leggo. Qualcuno pensa che sono troppo intellettuale, ma io credo che sia un modo favoloso di passare il tempo libero. Io vado anche a scuola di tango. Lei non ha qualche hobby?
Egon: Colleziono spore, muffe e funghi.
— Ghostbusters, USA, 1984

Nel 2006 – me l’ha segnalato un collaboratore di Blogo mentre, nella riunione permanente di Slack, parlavamo del nostro lavoro e dei rapporti con gli uffici stampa, soprattutto quelli bravi – uno sceneggiatore di fumetti ha scritto un pezzo sulla stampa, il giornalismo, la comunicazione. Lo sceneggiatore si chiama Michele Medda. Il pezzo ha dei tocchi vintage quando parla di lettori Dvx e di videofonini. Ma non è per questo che è affascinante. Sul blog di Michele Medda non si trova più. L’ho trovato, però, riportato integralmente su due forum di appassionati di fumetti che, per varie ragioni, si trovano a dissertare sulle dinamiche che riguardano informazione e comunicazione. Lo fanno anche gli «utenti» non addetti ai lavori.
Il pezzo è questo. Lo riporto integralmente, perché serve allo scopo.

«È osservando i Grandi che impari. Impari non solo il mestiere. Impari come va il mondo in generale. Io ho imparato molto osservando uno dei miei maestri, tornato alla scrittura dopo anni di silenzio. Per esempio, ho imparato che per farsi intervistare da un giornale occorre essere stati intervistati da un giornale.
Mi spiego: basta essere intervistati una volta per essere intervistati due, dieci, venti volte, fino a dover dire di no all’ennesimo intervistatore che ti chiede: “Come è nato il suo personaggio?” Siamo logici: dopo la quinta intervista di fila, che cosa puoi dire di nuovo?
Nella mia ingenuità ho sempre pensato che il massimo per un giornalista fosse lo scoop. Un’intervista inedita. Arrivare primi su un argomento di qualsiasi tipo: politica, cronaca, attualità. Mi sbagliavo. Il giornalista non pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi io andrò a cercare Caio per un’intervista in esclusiva.” Il giornalista pensa: “Già dieci colleghi hanno intervistato Tizio, quindi lo farò anch’io.”
Un’altra cosa che ho imparato è che per scrivere su un giornale non occorre avere scritto articoli per un giornale, ma semplicemente essere apparso sui giornali, a qualsiasi titolo.
Così, se uno scrittore di fumetti è apparso sui giornali (in quanto “autore di successo”), può benissimo essere chiamato a collaborare a un magazine per una rubrica di astronomia. Certo, lo scrittore in questione non sa niente di astronomia, e ci tiene a precisarlo. Lui scrive fumetti. A questo punto il redattore del giornale sbuffa. Quante storie, ragazzo. Per scrivere scrivi, no? E allora, fumetti, astronomia, che differenza fa?
Intendiamoci: dopotutto, qualche giustificazione quel redattore ce l’ha. Alla fine, uno scrittore di fumetti è pur sempre uno che scrive, e si guadagna da vivere mettendo tante parole in fila. Trovo più difficile giustificare il fatto che rubriche, editoriali, pezzi di qualsivoglia natura siano commissionati a calciatori, starlettes, presentatori televisivi, cuochi, visagisti. Però, riflettiamoci su: se la qualifica è essere apparsi sui giornali (a qualunque titolo) o meglio ancora in TV, effettivamente un calciatore è molto più qualificato di me e di voi per scrivere un fondo di attualità. Lui è stato fotografato abbracciato a una velina, e voi no. E questo fa una certa differenza, ammettiamolo.
Ho imparato anche che scrivere per i giornali non è faticoso come pensavo. Nella mia ingenuità credevo che un giornalista raccogliesse la documentazione e poi scrivesse il pezzo. Non è esattamente così. Mettiamo che un giornalista sia incaricato di scrivere un articolo su un fumetto di successo.
Le cose funzionano in questo modo: il giornalista chiama la casa editrice del fumetto in questione e dice:
– “Devo scrivere un pezzo sul vostro personaggio X, mandatemi del materiale”.
– “D’accordo. Che tipo di materiale?”
– “Ci servono delle illustrazioni con il personaggio”.
– “Sì, ma di che tipo? Vignette? Copertine?”
– “Non lo so, vedete voi. Però tenete conto che ci servono due immagini a colori, una formato 12 x 7 cm, l’altra 8 x 6,5, e anche quattro o cinque immagini in bianco e nero, meglio se c’è il personaggio che spara, il formato è un po’ più grande, facciamo 14 x 10. Poi una immagine del personaggio in figura intera, e la copertina dell’albo in edicola questo mese”.
– “Beh… ma se vi mandiamo un po’ di albi dove scegliere…”
– “E ci servono anche un po’ di testi: una breve scheda di presentazione del personaggio e del suo universo, un elenco dei protagonisti principali della serie, dei nemici dell’eroe, etc…”
In parole povere, il giornalista si aspetta che il suo pezzo lo scriviate voi. L’abitudine alla marchetta si è radicata così profondamente nel tessuto connettivo della stampa che ha modificato la concezione basilare del giornalismo: gli articoli non sono scritti dai giornalisti. Sono scritti dalle persone (o dalle aziende) che hanno interesse a vederli pubblicati. I giornali non fanno più informazione. Fanno diramazione di comunicati stampa.
Non voglio essere catastrofico, comunque. Il giornalismo esiste ancora. La prova? Gli strafalcioni. Gli strafalcioni sono la spia di articoli “veri”, scritti semplicemente perché si ritiene che ci sia un interesse generale per un determinato argomento. Per questo avrei voluto ringraziare un noto settimanale per avere scritto – in occasione dell’uscita del film Hulk – che il personaggio di Hulk era stato disegnato da Bruno Kirby. Io e voi sappiamo che Hulk è stato disegnato da Jack Kirby, mentre Bruno Kirby era un bravo caratterista (è scomparso un mese fa: tra i suoi film, Harry ti presento Sally e Scappo dalla città). Ma non stiamo a spaccare il capello in quattro. È evidente che l’autore del pezzo nulla sapeva del fumetto, si è documentato – facendo un po’ di confusione, è vero – ma alla fine ha scritto il suo bravo pezzo.
Lo strafalcione prova che quello è un articolo vero, scritto dall’autore che lo ha firmato. Perché, state tranquilli, non troverete strafalcioni negli articoli-marchetta. Il giornalista che, col pretesto del pezzo “di costume”, magnifica le virtù di un noto lettore MP3, starà bene attento a non fare errori. Leggerà attentamente il depliant dell’azienda e non sbaglierà il codice del modello né la quantità dei megabyte. Altrimenti il prossimo omaggio di quell’azienda se lo può scordare.
A questo punto qualcuno si porrà la domanda: io dei fumetti so qualcosa, sono in grado di identificare lo strafalcione nell’articolo su Hulk o sui Fantastici Quattro, e sono in grado quindi di capire che quello è un articolo “vero”. Ma come faccio a capire se c’è la marchetta in un articolo che parla di videofonini o di lettori DVX? E se invece c’è una marchetta “ideologica” in un articolo sul surriscaldamento del clima o sui vaccini? Come faccio a capire se stanno cercando di smerciarmi una verità preconfezionata?
La risposta è: non c’è modo di capirlo.
Aveva perfettamente ragione Egon Spengler, il personaggio interpretato da Harold Ramis in Ghostbusters: meglio collezionare spore, muffe e funghi. La stampa è morta.
* * *
Alcuni giorni dopo avere messo on line questo articolo, vado in redazione alla Bonelli e passo a salutare Antonio Serra; che, oltre a essere il vulcanico autore che sappiamo, è anche uno dei massimi esperti italiani della saga di Star Trek. Ed è per interpellarlo in questa veste che gli telefonano – in mia presenza – da un noto quotidiano a tiratura nazionale.
Il giornalista all’altro capo del filo chiede lumi sull’ “autore di Star Trek”, John M. Ford, appena spirato. Antonio inarca il sopracciglio. Non gli risulta che ci sia un John M. Ford autore di Star Trek. Ma gli basta digitare su Wikipedia per avere all’istante la risposta. Sì, il compianto Ford è stato autore non della serie televisiva, ma di due romanzi basati sulla serie tv.
– “Allora non era un autore importante” dice il giornalista.
– “Direi proprio di no”, risponde Antonio.
– “Quindi, che dice? Facciamo una notizia breve, allora?”
– “Non saprei. Scusi, non è lei che lavora al giornale?”
Aspiranti giornalisti, spero che abbiate imparato la lezione. Non fidatevi di uno scarno comunicato d’agenzia, approfondite sempre i fatti. E, soprattutto, non consultate internet. Chiamate uno che lo faccia per voi. E che possibilmente decida anche quale taglio dare al pezzo. Il caporedattore avrà sicuramente cose più importanti da fare, meglio non disturbarlo».

A parte le note vintage, fa tremare, se ci pensi. E fa riflettere entrambe le parti in causa (comunicare e informare).
Ho scritto a Michele Medda. Mi ha risposto (in meno di 24 ore, una rarità in questo paesello). Si era quasi dimenticato quel pezzo. Gentilissimo, mi ha mandato la versione originale (che di fatto era quella riportata nel forum) e ha aggiunto un paio di note, su mie domande, che riporto qui di seguito.

«Confesso che non ricordavo più il pezzo… è scritto nel 2006, e gli aneddoti riportati risalgono ai primi anni duemila. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, e la situazione, se possibile, è ancora peggiore.
Alcune problematiche del settore le conosco, sia pur indirettamente: la fretta, la grande quantità di articoli macinati non solo di giorno in giorno, ma di ora in ora, e, last but not least, i compensi bassi che costringono ad aumentare il lavoro, in un circolo vizioso in cui la quantità distrugge la qualità, e la scarsa qualità scoraggia i lettori paganti.
Poi, ovviamente, i condizionamenti tradizionali sulla stampa – le pressioni dei “poteri forti”, la politica, gli interessi economici delle lobby – non sono certo scomparsi con internet. Ma questo non è certo un problema esclusivo dell’Italia.
È invece peculiare, in Italia, il degrado culturale generale. Di cui lo scadimento dell’informazione non è che una piccola parte. Non è che l’editoria a fumetti o la musica lirica (per citare due settori che conosco direttamente) se la passino meglio dell’informazione.
Da parte mia, mi è passata perfino la voglia di scherzarci su. Mi limito a contemplare sgomento lo sfacelo e spero che mio figlio si trovi a vivere in un mondo migliore di questo».

Wolf non riesce a trovare quel che stavi cercando