Wolf. 21 – Essere internet

Ah ma non è Snapchat
Se la nostra abbonata Daria, come ricordavamo qualche giorno fa, ha spiegato Snapchat, che non è solo quella cosa che ti fa vomitare arcobaleni (ma anche), ecco cosa succede. Succede che Facebook si sarebbe comprato Masquerade. Masquerade sarebbe una app che, fra le altre cose, ti consente di mettere filtri sui tuoi selfie fotografici e video in tempo reale. Sì, appunto. L’operazione fa parte di un’offensiva a 360° di Facebook, che ha deciso di far piazza pulita dei concorrenti (attuali o potenziali), con acquisizioni (vedi Instagram o Whatsapp) o con funzionalità analoghe, come, per esempio, la possibilità di fare video streaming live (peraltro premiata dall’ultimo cambio di algoritmo) che è un’ulteriore colpo a Twitter (il cui Periscope non solo non ha ucciso il giornalismo – consiglio di lettura: Remedia – ma non dichiara più numeri di utenti attivi da agosto 2015).

Facebook, insomma, sta cercando di essere internet. Ora, questo è il momento di trovare un brano dal lavoro di Eli Parisier. Viene citato – spesso a sproposito – per la sua visione sulla Filter Bubble, spiegata nel libro Il filtro (La cultura)(*). Come accade spesso, la sensazione è che in Italia quando si parla di un libro che dovrebbero aver letto tutti, poi non l’ha letto nessuno. Incisi a parte, il brano è questo qui:

«Zuckerberg controlla il mezzo più potente e più usato del mondo per gestire ed esprimere noi stessi. […] In un suo intervento alla New York’s Ad Week, il direttore operativo di Facebook Sheryl Sandberg ha detto che secondo lei internet cambierà molto presto. “La gente non vuole una cosa diretta a tutto il mondo, vuole qualcosa che le dia quello che vuole vedere e sapere” ha detto, lasciando intendere che nel giro di al massimo cinque anni questo sarà la norma. L’obiettivo di Facebook è essere al centro di questo processo, l’unica piattaforma attraverso la quale tutti gli altri servizi e i siti web raccoglieranno i nostri dati personali e sociali»

Da leggere, rileggere, capire.
Anche Google nel suo piccolo s’impegna
Ieri abbiamo parlato a lungo della novità in casa Google, con questa specie di social network unilaterale che, francamente, non mi convince affatto. Oggi, anche se non amo molto le letture ultra-apocalittiche, grazie alla newsletter di Quartz (una di quelle gratuite cui sono «abbonato» e che apro, purtroppo, molto meno di quanto vorrei per ragioni di tempo), scopro un pezzo, molto lungo, che va letto. Il pezzo è di Shoshana Zuboff, che di sé scrive:

«Ho dedicato questa parte della mia vita a capire e concettualizzare la transizione verso una civiltà dell’informazione. Saremo i padroni dell’informazione o ne saremo schiavi?»

Il pezzo, dicevo, si intitola Il segreto del capitalismo di sorveglianza e andrebbe come minimo tradotto in italiano – magari ci lavoreremo –, ma è molto consigliato se padroneggi un minimo l’inglese.
Il punto fondamentale di Zuboff? La sorveglianza di stato non è nulla rispetto a quel che può fare Google. Il quale, con la sua potenza di fuoco, può addirittura modificare i comportamenti delle persone.
Lo ha già fatto, lo fa anche Facebook, e non è detto che non sia una cosa naturale, sia chiaro: ma in un mondo di utopismo tecnologico è bene anche saper prendere le distanze e avere una chiara visione su quel che possono fare i veri grandi.
Distribuirsi
L’avrai capito, ma il senso di questo doppio «gioco» su Facebook è Google è il solito: usarli, non farsi usare.
Qualcuno offre lavoro
Che fare cerca un nuovo responsabile della comunicazione. Scadenza per le candidature: 18 marzo.
Trasparenza
Come al solito, se compri il libro da quel link, a te non cambia nulla e una piccola percentuale del tuo acquisto sostiene Wolf.