Posizione zero

Quant’è importante il percepito per l’autorevolezza? Perché riteniamo, genericamente, che Wikipedia sia autorevole? Quanto incide, per esempio, il fatto che sia uno dei primi risultati su Google qualsiasi ricerca facciamo? Su un addetto ai lavori, a lungo termine, forse incide poco. Ma comunque mi scopro – e così penso anche tu – a consultarla spesso, soprattutto nella versione inglese, per molte voci. E molti giornalisti – questo lo sappiamo bene dall’esperienza fenomenica, anche se non ci sono dati in merito – la usano per saccheggiarla quando si tratta di scrivere un profilo biografico, per esempio. Da qui nascono meravigliosi equivoci quando le voci di Wikipedia vengono vandalizzate dal burlone di turno in presenza, che so, di notizia di un decesso celebre.

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Fatto sta che Wikipedia è, secondo Alexa, il quinto sito più visitato al mondo, con 45,6% di traffico proveniente da ricerca. Nota che fra i top 5 è l’unico ad avere un tasso di traffico di ricerca a doppia cifra (non potrebbe essere altrimenti, visto che Google e Baidu sono motori di ricerca, Youtube e Facebook sono piattaforme social, che fanno traffico diretto).

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Quindi, Wikipedia gode di molto traffico dai motori di ricerca e questo agisce fatalmente sul suo percepito (che non è misurabile in maniera diretta, ma è comunque evidente). Anche se Wikipedia non contiene la verità è ritenuta autorevole.

Da un po’ di tempo a questa parte, Google ha introdotto nelle SERP una posizione che in gergo i SEO chiamano Posizione zero e che Google chiama Snippet in primo piano. Non si tratta di un risultato diverso della SERP e non è nemmeno parte del progetto Knowledge Graph, spiegano in casa Google.

Ovviamente c’è già chi promette di portartici automaticamente, ma non è così semplice. Comunque si può costruire una srategia per arrivarci, se ti serve e se questo migliora il tuo percepito.

Personalmente, sono arrivato in quella posizione per la prima volta il 23 maggio 2017 (almeno, questo è il giorno in cui me ne sono accorto) con il mio pezzo sul piano editoriale.

Seo Posto Zero - Snippet in primo piano

Come ci sono arrivato?

Tanto per cominciare, chiariamo che ci sono arrivato senza pensare di volerci arrivare. Ci sono arrivato perché ho strutturato il pezzo per i lettori che erano interessati al tema del piano editoriale e ho usato una strategia e alcuni accorgimenti molto chiari.

Vediamo insieme quali.

C’è un indice dei contenuti e ci sono i titoli di paragrafo

Di solito l’indice dei contenuti è la cosa più dimenticata della storia del web: le singole pagine si pensano senza bisogno di una loro mappa, perché tanto abbiamo già pensato alla mappa di tutto il resto (si spera, eh) e perché ci concentriamo sui contenuti correlati. Ma se fai pezzi lunghi (e su molti argomenti è bene fare pezzi lunghi) è normale avere un posto da consegnare ai tuoi lettori perché si possano orientare.

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Io faccio gli indici o a manina con i link di ancoraggio oppure utilizzando un plugin apposito per WordPress che si chiama Table Of Content Plus,
L’indice può essere testuale, molto semplice (se fatto così come vedi nell’immagine, ricorda un po’ gli indici dei contenuti di pagine di Wikipedia) ma può anche essere grafico.

Penso, ad esempio, alla raffigurazione grafica di una sequenza temporale per una diretta di  per una partita di calcio, come quella che venne sviluppato in Blogo, che puoi vedere qui.
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In questo caso non ho i titoli ma ho i simboli grafici che rimandano a ogni singolo evento rilevante della partita.

Si può fare per qualsiasi argomento e in qualsiasi modo. Al Guardian, per esempio, hanno scelto di fare l’indice dei contenuti con una timeline verticale con i punti salienti scelti editorialmente. Così.

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L’unico limite che c’è alla costruzione di un indice dei contenuti sulla pagina è dato dalla nostra fantasia e dalla disponibilità di chi sviluppa il sito. Come al solito, sarebbe bene che le figure professionali potessero lavorare insieme (nel mio caso è facile: sul mio sito faccio tutto io. E si vede nel bene e nel male!).
Chiaramente, accompagnato all’indice, ci sono i titoli di paragrafo (che ovviamente contengono keyword).

In altre parole, l’informazione, sulla pagina, è organizzata. Funziona per Google solo perché funziona per le persone.

Ci sono i contenuti

Questo sembra banale, ma non vorrei che passasse che puoi arrivare in una posizione come quella senza scrivere qualcosa di sostanzioso.

Tanto per cominciare sono contenuti unici: contengono il mio punto di vista sul piano editoriale, il modo in cui io ci lavoro, le mie idee sul piano editoriale per i social e simili. In altre parole, non sono i soliti elenchi-fuffa di 3 trucchi per fare cose. È un pezzo lungo, da 3600 parole (non 300).

Ci sono le parole chiave

Ebbene sì, anche se dobbiamo ricordarci che le liste di keyword sono obsolete, questo non significa che il pezzo non contenga le parole che vengono utilizzate dalle persone per parlare, per fare ricerche. Come trovarle è un tema che abbiamo affrontato più volte. Per esempio, ne abbiamo parlato nel numero 112 di Wolf e, più in generale, dobbiamo ricordarci che fare una ricerca di keyword equivale a fare una ricerca di mercato. A capire le persone. A parlare come loro.
Bisogna anche essere capaci di capire come parlano i tuoi concorrenti e usare quelle parole in maniera coerente con la tua strategia o linea editoriale. Facciamo un esempio pratico.

Quando ho fatto la prima ricerca su Google per studiare i miei concorrenti sulla SERP «piano editoriale» ho scoperto che molti usavano le parole trucchiin 3 steptool e cose del genere. Questo significa due cose:

  • che i loro lettori si aspettano quel tipo di comunicazione
  • che Google a lungo termine finirà per associare la keyword «piano editoriale» alle keyword «trucchi», «in 3 step», «tool»

Volevo usare quelle parole ma senza tradire la mia missione editoriale. Ecco come ho fatto. Ho scritto questo:

«ecco che spuntano, in prima pagina su Google, siti che offrono liste di trucchi per fare un buon piano editoriale, piani editoriali per il content marketing, piani editoriali per le attività di comunicazione, per il social media marketing, suggerimenti per la pianificazione, gli immancabili tool (che poi sono strumenti), la creazione di piani editoriali “in soli 6 passi” (o 3, 7, 9, 11, mai 10, ché da quando è arrivato Buzzfeed il 10 è passato di moda), l’implementazione di un piano editoriale attraverso i Facebook Audience Insights e compagnia cantante. Insomma, in qualche modo piano editoriale è diventata una buzzword, una parola di moda. E come tutte le parole di moda, se si ripete ossessivamente il concetto si rischia di svuotarlo di ogni significato. […] Il “trucco” di un piano editoriale social? Non esiste: semplicemente richiede di ascoltare i(l) propri(o) pubblici(o). Come tutto il resto, pensa un po’.»

In altre parole, ho usato le loro stesse parole, ma con un significato coerente alla mia attività e alle mie idee.

Le immagini (e i video)

Ci sono, ovviamente, le immagini. Sono tutte correttamente nominate, in modo che anche la componente visiva aiuti il motore di ricerca.
Ammetto che se avessi tempo farei anche un paio di video illustrativi (cercando di evitare di sembrare uno che lavora per il guru business model).

La pagina dinamica

Il contenuto di quella pagina viene periodicamente aggiornato. Quando mi viene in mente qualcosa, quando imparo qualcosa, quando penso che sia utile. Tutte le volte che lo aggiorno, sposto avanti la data, come al solito. Ovviamente, questi aggiornamenti devono essere commisurati alle reali necessità e alle disponibilità di tempo.

La URL è parlante

Dice: va be’, ma nel 2017 ancora mi rompi le palle con la URL parlante? Sì. Visto ieri un sito istituzionale grosso, appena rifatto, con URL a generazione casuale in seguito al click dalla home e la sola home indicizzata e posizionata su Google. Quindi, sì. La URL è parlante (e va progettata quando si progetta il sito!): http://www.albertopuliafito.it/piano-editoriale-cose-come-si-fa-a-cosa-serve/

L’uso dei social

Il pezzo ha avuto un buon successo su Linkedin e su Facebook, fra addetti ai lavori. Perché risponde a un bisogno, a una mancanza: quel che mi aveva colpito, cioè che il tema «piano editoriale» fosse declinato solo in ottica marketing era vero e c’era bisogno di un contenuto che rispondesse a chi voleva, invece, ricondurlo a questioni puramente editoriali, appunto.

I link

Ci sono link al mio stesso sito e molti link esterni naturali. Ovvero, potenzialmente migliorativi dell’esperienza di chi legge.

I commenti

Se un pezzo fa traffico qualificato, arriveranno i commenti. Rispondi.

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L’intervento di Google

Non puoi in alcun modo convincere Google a metterti lì. Puoi aspettare che lo faccia lui. Di solito, in quella posizione ci si finisce se si dà una spiegazione chiara alla domanda esplicita o implicita della query intention. Ma come vedi in questo caso Google ha fatto da sé. La cosa particolarmente divertente dal mio punto di vista è che ha fatto da sé scegliendo un passo del mio articolo in maniera assolutamente arbitraria:

«Per motivi quasi oscuri, piano editoriale è una di quelle diciture che piace molto, a tutti i livelli e in tanti mestieri diversi (ricordo un surreale colloquio da freelance a partita iva con un responsabile di risorse umane che vaneggiava di piani editoriali di cui mi chiedeva conto)».

Chissà se quel responsabile HR ricorda il nostro colloquio. La scelta di Google è molto divertente, dal mio punto di vista, ed è perfettamente esplicativa della linea e dello scopo di questo contenuto.

Il traffico

Quanto traffico fa una pagina così? Ecco l’andamento da agosto 2016 (quando ho scritto il pezzo) a oggi.

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Da Google, a maggio ha fatto 253 accessi (per 294 visualizzazioni di pagina). Il tempo medio sulla pagina, come vedi, è altissimo (6’19”).

Vediamo come funziona in generale.

Il tempo medio di permanenza si mantiene alto anche per i social (non chiedermi perché Linkedin faccia segnare uno 0 spaccato: è un mistero anche per me e penso che sia un errore di tracciamento, perché è un dato troppo strano).

Quanto tempo ci vuole per ottenere risultati?

Le risposte sono:

  • dipende (dalla SERP, dalla keyword, dagli argomenti, da come lavori)
  • tanto!

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Qui, per esempio, ti mostro la search console di albertopuliafito.it.

Ci sono voluti 90 giorni per passare da una posizione media 3,75 su Google a una posizione media 1,8 (ti ricordo che Google misura la posizione media perché non è detto che un sito appaia nella stessa posizione per tutti).

Un requisito fondamentale per essere nella Posizione zero è quello di essere ben posizionato anche in SERP. Al momento il mo pezzo è in posizione zero e in seconda posizione per la medesima keyword.

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Posso monitorare la Posizione Zero?

Sì, per esempio con SEO Zoom (il link rimanda al programma di affiliazione di SEOZoom, quindi se lo compri a Wolf arriva una percentuale del 20% della transazione, mentre a te non cambia nulla), che dentro l’analisi di keyword propone anche quelle in posizione zero.

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Mi serve?

Sicuramente ti serve sapere in generale come si fa. Ti serve se riesci a applicare queste tecniche facendole diventare parte di una strategia. Se ti ricordi che tutto questo ha a che fare prima di tutto con le persone che troveranno i tuoi contenuti.