Piccole Crypto Iene crescono

Dopo Sanremo, Bitcoin sbarca su altri due palcoscenici italiani, diversissimi ma ugualmente rilevanti: Radio3 Scienza e Le Iene.

___STEADY_PAYWALL___

Difficile immaginare progetti editoriali più distanti tra loro. Proprio per questo, forse, dicono molto di più nel loro essere compresi come ticket informativo che non considerati singolarmente con le loro audience.

Radio3 Rai è forse uno degli ultimi baluardi di palinsesto pensante.

Programmi come Farenheit o appunto Radio3 Scienze sono rivolti a una nicchia colta di ascoltatori, di formazione tendenzialmente umanistica, persone che in qualche modo hanno perso alcuni treni ad alta velocità delle élite economiche del nostro paese, preferendo tragitti panoramici più legati al buon vivere, all’etica, al gusto, alla distintività. Persone attente allo spirito del tempo. Ascoltatori che, di fronte a una buona divulgazione del tema Bitcoin, criptovalute, blockchain, hanno reagito, a detta delle conduttrici, con un enorme numero di messaggi e di domande.

L’ospite è molto accreditato. Si tratta di Ferdinando Ametrano, già manager di Banca Intesa San Paolo e soprattutto docente di Bitcoin and Blockchain technologies all’università Bicocca e al Politecnico di Milano.

Se ascolti la puntata, ne apprezzerai il garbo, la competenza mai supponente né paternalistica. Un talento divulgativo che beneficia di intelligenza, dimestichezza con l’insegnamento e curiosità intellettuale propria e altrui.

Ben diverso il pubblico di Le Iene, noto programma Mediaset di infotainment investigativo, satira e varia umanità. Stile irriverente, insinuante e punzecchiosa. Il reportage anche qui è di buon livello, soprattutto se lo intendiamo in termini di gradimento e potabilità dell’audience. E anche in questo caso troviamo tra gli intervistati il Professor Ametrano, sintonizzatosi su un registro più diretto, provocatorio e bonario. Se guardi la puntata, si parla di Bitcoin a partire dal minuto 55, troverai diverse testimonianze italiane di utilizzo di bitcoin nella vita quotidiana, oltre a una serie di pareri su temi di sicurezza, profittabilità, rischio e soprattutto fiducia.

Fuori dal coro il parere conclusivo (in termini prettamente cronologici) di Luca Fantacci, Professore di Storia Economica all’Università Bocconi. (Disclaimer: lo scrivente lo conosce piuttosto bene e ci ha studiato, discusso e lavorato insieme alla fine degli anni ’90).

Il compito non facile che si è prefissato Fantacci nell’intervista e in un libro è quello di argomentare in che senso e in che modo una moneta troppo forte non sia una buona moneta.

Senza azzardare bilanci, possiamo comunque dire che in questo inizio di 2018 l’interesse e la diffusione del concetto stesso di criptovaluta e in particolare di Bitcoin sta raggiungendo un pubblico ampio e considerevole.

C’è molta curiosità e un misto di cautela e voglia di sperimentazione che deve scontrarsi con un controsenso: giocare col gioco nuovo è sì alla portata di quasi tutti ma allo stesso tempo non è semplicissimo da gestire. La stragrande maggioranza delle persone che vogliono comprare bitcoin è costretta a comprarli da un exchange, ovvero intermediari che cambiano gli euro e le altre monete tradizionali in criptovalute in cambio di una commissione.

Nonostante uno degli obiettivi principali di questo tipo di monete sia eliminare le banche e qualsiasi forma d’intermediazione, rimane il fatto che non tutti sono in grado di accedervi senza acquistarle. La reintermediazione uscita dalla porta rientra dalla finestra sotto forma di servizio accessorio.

E, come tutti i servizi, si paga.

Con gli intermediari di un mercato ben lontano dall’essere regolamentato si corrono anche altri due tipi di rischio:

  • il rischio che siano truffaldini (il vecchio metodo di scam in stile «prendi i soldi e scappa»)
  • Il rischio che, come tutti i forzieri, anche i criptoforzieri vengano forzati.

È quel che è successo lunedì scorso all’Exchange italiano Bitgrail, che ha dichiarato venerdì scorso di aver subito un furto di criptovaluta in un attacco hacker:

BitGrail, un exchange poco conosciuto nell’ecosistema delle criptovalute, sembra aver subito la perdita di alcuni token di Nano (precedentemente noto come Raiblocks) e ne ha successivamente bloccato gli scambi. In una nota all’interno del sito pubblicata il 9 febbraio, l’exchange ha dichiarato che a seguito di un attacco hacker erano andati perduti 17 milioni di Nano, per un valore di circa 187 milioni di dollari, al momento della scoperta delle perdite. (Fonte)

Sempre che non siate clienti di Bitgrail, è un episodio marginale. Però ha il pregio di mettere in luce un rimbalzo di responsabilità tra piattaforme: ad essere hackerata è stata la valuta o l’exchange? Il sistema di sicurezza violato è stato quello di nano (la moneta) o quello di custodia dell’exchange Bitgrail?

Se a essere violata fosse stata la blockchain della moneta, in teoria sarebbe possibile invalidare le transazioni pirata annullandole (in gergo si chiama Fork: praticamente torni indietro nei blocchi di transazioni fino ad annullare gli effetti dell’appropriazione indebita, cioè dirotti la truffa su un binario morto e recuperi i soldi).

Se invece è un semplice problema d’intermediario, i soldi sono definitivamente passati in altre mani. Non ho notizie di contratti di assicurazione sulle perdite. In ogni caso la reputazione dei due protagonisti è saltata.

Bonus track: Se stai procedendo nel tuo percorso di approfondimento sulle criptovalute e vuoi ascoltare qualcosa di più avanzato, eccoti il podcast con la lunga intervista di Laura Shin a Vitalik Buterin. In particolare c’è un passaggio importante in cui si parla di ICO sulla piattaforma Ethereum
Money quote.

Laura Shin afferma:

«Sono colpita di quante ICO poco serie riescano a raccogliere soldi, anche cifre significative». (Vitalik si dice d’accordo).

«E il fatto che Ethereum sia la piattaforma principale su cui vengono lanciate le ICO, comprese naturalmente quelle più cialtrone, non ti ha spinto a considerare l’ipotesi di dover vigilare sulla qualità del materiale diffuso su Ethereum?»

Qui la risposta di Buterin è più articolata:

«Fa parte del gioco. Se mi mettessi a fare il poliziotto non solo non finirei più, ma finiremmo per contraddire la logica stessa delle nostre piattaforme, progettate (anche) per evitare forme di censura».

È un mercato non regolamentato, su cui si lanciano progetti di moneta non intermediata. Non avrebbe senso censurarli. Anche perché rendere selettiva e critica una piattaforma porterebbe semplicemente all’abbandono della piattaforma stessa in favore di un’altra non presidiata e più appetibile.

Ma di come funzionano le emissioni di nuovi Token, tipo il Token di Wolf!, parleremo la prossima volta.