People First e la news doctrine

C’è un cambio di marcia evidente nelle presentazioni F8 – gli eventi in cui Mark Zuckerberg e parte dello staff di Facebook illustrano le novità di prodotto: è un passaggio radicale che potrebbe in qualche modo segnare una nuova tendenza rispetto alla comunicazione e al marketing da parte delle OTT e, più in generale, della Silicon Valley.

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Ma andiamo con ordine.

Non è stato un periodo facile per Facebook. Il positivismo tecnottimista di Zuckerberg si è scontrato con violenza sia con il dato di fatto di una piattaforma cresciuta a dismisura e senza controllo sia con le retroguardie dell’ancien regime pronte a muovere un attacco frontale contro Facebook.

Se i temi come le fake news, la protezione del dato, la sicurezza non sono certo un’invenzione di Facebook, non si può negare che la piattaforma si sia rivelata vulnerabile a mal intenzionati. E anche se l’idea che Facebook ci abbia trasformato tutti in prodotti è un falso storico, è chiaro che il modello di business dell’azienda di Menlo Park presti il fianco a ogni tipo di critica in tal senso questo nonostante la pratica del micromarketing sia diffusa da almeno 30 anni o più.

E allora ecco il cambio di marcia. In un universo che ci ha abituati a cercare sempre la next big thing, Zuckerberg ha iniziato il suo discorso parlando di tre cose molto concrete: le elezioni (la cui integrità va preservata anche sulle piattaforme), le fake news, la privacy e la protezione del dato.

C’è spazio per pensar male e c’è spazio pure per vederlo come un contentino al Congresso. Ma il fatto è che, davvero, non siamo abituati a sentire i CEO delle OTT parlare di cose così «piccole» e relegare le visioni per il futuro a un finale poco entusiasmante e molto concreto. Si tratta di un approccio radicalmente diverso rispetto a quella ricerca ossessiva della narrazione fantascientifica che ha fatto crescere enormemente il gap fra il marketing di prodotto e il prodotto stesso e che aveva trasformato eventi come l’F8 in una corsa alla sparata più grossa.

Se si parte dai problemi che si sono palesati sulla piattaforma, invece, il cambio di direzione è repentino.

E se alla lotta contro le fake news personalmente credo poco, così come alla possibilità di influenzare le elezioni su Facebook (l’influenza su un risultato elettorale è un combinato disposto complesso e difficilissimo da analizzare: qualsiasi analisi a posteriori, poi, è una semplificaione), la parte che mi interessa di più è l’azione di Facebook rispetto alla protezione del dato. La dichiarazione più importante di tutte, infatti, è l’introduzione del clear history.

Presto chi utilizza Facebook potrà utilizzare questa funzione per ripulire la propria storia di navigazione sulla piattaforma. Un po’ come la cancellazione dei cookie, per capirci. È una funzionalità importante perché ci riporta a un concetto molto caro alla redazione di Wolf: la responsabilità individuale, la possibilità di scegliere, la necessità della produzione di contenuti-anticorpo e dell’impegno per diffondere una cultura (digitale) che metta le persone in grado di avere a che fare con la tecnologia in maniera consapevole. Quando il clear history sarà attivo sarà importante fare in modo che le persone sappiano di poterlo usare (così come devono sapere di poter navigare in maniera anonima, per esempio).

La cancellazione della storia di navigazione potrebbe rendere meno efficaci le campagne di remarketing, soprattutto di chi ha meno budget a disposizione? A naso, sì. Potrebbe essere uno degli effetti collaterali.

Zuckerberg ha passato l’intera presentazione a ricordare la missione di Facebook: connessione fra le persone. Il mantra è People First. Mettere le persone al centro. Parliamoci chiaro: sarà anche uno slogan abusato. Ma è sempre meglio di digital firstmobile first. Nel mio piccolo, è un approccio che suggerisco quando penso a come dovrebbero evolversi le abitudini relazionali dei giornali, per esempio. Nel piccolo di Wolf è un approccio che permea i contributi e le azioni di Mafe e Filippo: è, insomma, quel che cerchiamo di fare con la nostra realtà editoriale.

Gli altri temi affrontati all’F8 a proposito della relazionalità della piattaforma:

  • interazioni fra persone, con un’ulteriore sviluppo delle funzionalità dei gruppi (verrà introdotto anche un pulsante «join group» per gli annunci) e con la creazione di una tab per catalogare i medesimi
  • creazione di un servizio di dating. Sì, di appuntamenti
  • importanza dell’appartenenza a comunità significative
  • potenziamento delle funzionalità del marketplace
  • importanza dei video live (non sarà sfuggito ai più il senso dell’umorismo nerd che ha portato Zuckerberg a ironizzare sulla propria performance al Congresso)

Su Instagram:

  • un nuovo «esplora» diviso per argomenti
  • video chat multipla
  • effetti di realtà aumentata

Su Messenger:

  • è finito il blocco alle applicazioni che si occupano di bot e di connessione fra bot e pagine Facebook
  • arriva la chat multipla
  • ci sono nuovi filtri di realtà aumentata

Su WhatsApp

  • videochat multipla
  • nuove funzionalità in vista per Whatsapp Business (in questo momento solo Android)

In chiusura del suo spazio all’F8 Zuckerberg ha annunciato la vendita degli Oculus Rifit (gli occhiali di realtà virtuale di Facebook) e ha annunciato anche – con giubilo degli astanti – che tutti i partecipanti ne avrebbero ricevuto uno in omaggio.

Sipario.

Ma non per tutti: c’è spazio anche per parlare di giornalismo e di modelli di business.

Jessica Lessin ha intervistato Zuckerberg dopo l’F8 per The Information (il pezzo è dietro paywall, ma gli abbonati di Wolf possono leggerlo seguendo il link e lasciando la propria mail). Ci sono tre elementi che riguardano quella che Lessin chiama la news doctrine di Zuckerberg. Eccoli qui:

  1. Facebook vuole assicurarsi che le persone possano trovare notizie attendibili sulla sua piattaforma. La parola d’ordine che Zuckerberg ha utilizzato è «common ground», «terreno comune». L’idea sarebbe quella di mettere la piattaforma al servizio della diffusione perlomeno di un percorso di conoscenza condiviso e non polarizzato.
  2. Facebook ha responsabilità nel sostenere le news, in particolare il giornalismo investigativo, attraverso nuovi modelli di business. Il prodotto che avrebbe dovuto aiutare i giornali a vendere abbonamenti attraverso Facebook non si è visto, ma da Menlo Park sono ancora al lavoro: «Ci vediamo come responsabili nel sostegno all’istituzione del giornalismo. Vogliamo farlo in tutte le aree, incluse quelle meno finanziate, come il giornalismo locale e alcune aree internazionali».
  3. Facebook è interessato in altri modelli di finanziamento del giornalismo (come il non-profit).

È davvero presto per commentare le dichiarazioni che Lessin ha raccolto da Zuckerberg, ma potremmo immaginarci una «Google-DNI» versione Facebook e altre novità sul tema. Speriamo che non si tratti del contentino ai giornali per non farsi più attacare come è stato fatto con il caso «Cambridge Analytica». La parte più interessante che potrebbe mettere in piedi Facebook risiede ancora una volta nella relazionalità fra persone, secondo la filosofia del contenuto attrattore. La vocazione dei giornali – ancorché spesso dimenticata o perduta – è quella di relazionarsi con il proprio pubblico. Dalla loro, i giornali hanno la produzione di contenuti autorevoli – o almeno, dovrebbero averla, se riescono a dimenticarsi dei mostri marini dell’Indonesia e delle idee acchiappaclick – e una comunità di riferimento che esiste già.

Il connubio si può fare.