No, tu non stai usando veramente Facebook. La Settimana enigmistica sì

Oggi parlavo a un corso di formazione di SEO e – siccome le cose sono collegate e la SEO è ottimizzazione di parole, flussi e lavoro – del modo in cui le testate giornalistiche hanno svenduto la loro credibilità interpretando molto male la loro presenza digitale. Da lì si è passato a parlare di Facebook – l’ho già detto, sì, che SEO e social non sono mondi separati? – e il tentativo era quello di dimostrare che, a colpi di condivisioni su Facebook che rispondono troppo spesso a un’unica logica, quella del click ad ogni costo, è andata a finire che si sono peggiorate le cose. Siccome avevo preso di mira – simpaticamente, si fa per scherzare – una collega di Repubblica.it, per evitare che pensasse che avevo deciso di bullizzarla (di questi tempi non si sa mai) ho aperto, per puro caso, il diretto competitor, Corriere.it.

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Questa è la condivisione che il caso – e il social manager – mi hanno regalato.

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Titolo: Questa sì che è sfortuna: pedone viene centrato dalla ruota impazzita – Corriere TV

Uh, che faccio, clicco?

Testo: Impatto pazzesco con uno pneumatico che spunta alle loro spalle e colpisce l’uomo alla testa. Lui miracolosamente sopravvive

No. Non clicco. Non solo hai fatto clickbaiting, ma mi hai anche spoilerato il finale. Ciao.

E infatti, il Corriere ha 2,3 milioni di fan e quella condivisione (che oggi non si trova più) si porta a casa 3 like e una ricondivisione, se vogliamo vederla in termini quantitativi e basta.

Non riesco a trovare esempio migliore per mostrare una volta per tutte quello che, come due vecchie zie invecchiate male, Pier Luca e il sottoscritto vanno predicando su queste pagine e altrove.

Come se non bastasse, nella colonnina di destra di Facebook, il Corriere ci ricorda la sua identità. «Pubblico, vogliamo parlarti chiaro», diceva l’editoriale del primo numero del Corriere della Sera, del 5 marzo 1876. Quindi lo sanno che hanno una grande storia da difendere.

Basterebbe l’accostamento dei due elementi in questo screenshot: se questa fosse una barzelletta della Settimana Enigmistica sarebbe di quelle «Senza parole».

E invece qui di parole ne spendiamo eccome, proprio perché sappiamo che lì fuori, fra i nostri abbonati, ci sono addetti ai lavori che ci leggono e che potrebbero, insieme a noi, lavorare per migliorare questo benedetto ecosistema. Qui non si tratta di fare manifesti, stati generali, proclami. Qui si tratta di cominciare a utilizzare tutte le piattaforme per lo scopo finale della nostra attività (anche se è giornalistica).

Sappiamo bene che l’obiettivo dei giornali online è fare click. E sappiamo altrettanto bene che nel lungo periodo è l’obiettivo sbagliato che ha generato una progressiva distorsione dell’agenda, orientata al curioso, allo strano, all’incredibile (a quello che, per rimaner col paragone con la Settimana Enigmistica, una pubblicazione che ha mantenuto la sua identità integerrima negli anni, sarebbe relegato a una delle due storiche rubriche Strano ma vero o Forse non tutti sanno che). Non si può smettere da un giorno all’altro, non è un interruttore on-off. Quel che si può fare è iniziare una transizione lenta, che tutto sommato potrebbe riguardare anche il mainstream.

Questo non significa per forza rinunciare anche a quell’intrattenimento leggero che si vuole continuare a cavalcare perché fa traffico. Significa che posso aprire delle pagine verticali (ti ricordi il suggerimento come aumentare la reach su Facebook con le pagine verticali?) che ospitino un pubblico interessato a quegli argomenti. Così ottengo una serie di risultati.

  • evito che le persone che atterrano sulla pagina del mio brand non capiscano dove si trovano
  • evito che le persone fedeli, quelle che sono disposte a pagare per leggermi, trovino argomenti che non sono in alcun modo di loro intreresse
  • evito che queste persone possano essere spinte a fare commenti che peggiorano l’ambiente in cui si trovano (qui sotto, per esempio, un commento negativo a un’altra condivisione del corriere, una voragine nell’acqua in un lago che bla bla bla)
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  • il traffico lo faccio da pagine che non tradiscono la mia missione (nulla vieta al Corriere di aprirsi una pagina per le curiosità)
  • comincio una transizione lenta che porta la pagina principale ad essere coerente con le notizie che il pubblico fedele di un giornale storico si aspetta di trovare
  • comincio una transizione verso un nuovo modello di business.

Già che ci siamo, allora, andiamo a vedere come usa Facebook La Settimana Enigmistica?

Così.

Anche per questo basterebbe il «senza parole». Un rebus con emoticon, che ha anche l’hashtag dedicato: #emojirebus.

I commenti sono divisi fra chi ironizza (e c’è proprio un filone di commentatori a questo tipo di condivisioni, che risolve i rebus a caso), chi disserta sul reale significato dell’emoticon con le mani (è una preghiera o sono il «dammi il cinque»?) e chi risolve il rebus. 67 commenti, alto tasso d’engagement, per una pagina che ha 130mila like, non certo milioni.

Loso che piace anche a te. Quindi, eccotene un altro.

Le soluzioni sono qui, al fondo del numero di Wolf!

Il mitico bersaglio della Settimana Enigmistica è usato per celebrare San Valentino.

E anche qui, nei commenti, c’è chi esalta la pubblicazione.

Non ci trovi haters, non ci trovi hate speech. C’è Alma che scrive: «Ho imparato a riconoscere le prime lettere a 3 anni, tanto tempo fa, imparando a leggere e a scrivere precocemente con la Settimana! Non l’ho mai mollata!!!»,

C’è qualcuno che risponde ai commenti quando serve.

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E il livello della conversazione è perfettamente a tema.

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Qualche mese fa hanno deciso di fare un video in diretta (!). Il video era semplicemente un’inquadratura fissa con la domanda: «Come risolvete la settimana? Penna o matita?»

A mano a mano che arrivano like o cuori aumenta il contatore dell’una o dell’altra scelta.

Vai a vedere la quantità di commenti. Di interazioni. Di persone vere (non si insiste mai abbastanza su questo) che scrivono.

Anche quando le condivisioni portano fuori da Facebook (l’alternanza fra condivisioni che ti lasciano dentro Facebook e altre che portano a casa tua è fondamentale), così, il successo è garantito.

C’è tutto quel che ci dovrebbe essere: qualcuno che sa come si fanno le cose, in maniera semplice, con costi contenuti, gestisce la pagina Facebook della Settimana Enigmistica coerentemente con l’identità della pubblicazione e – anche questo è fondamentale – coerentemente con la convenienza specifica di Facebook e con le funzionalità che la piattaforma mette a disposizione. Funzionalità che non sono utilizzate per prendersi l’applauso o perché lo fanno tutti, ma perché servono (e quindi si usano con moderazione, solo quando servono e nel modo più semplice). Il tutto genera un ambiente piacevole da frequentare.

E non vale dire: «Sì, ma per loro è facile, la mia realtà è diversa, noi siamo più grossi, noi siamo meglio, peggio, da noi non si può fare». È una scusa. Il modo si trova.

Ecco. La Settimana Enigmistica sta usando Facebook. E tu?

Soluzioni dei due emojirebus

Che fame nera
Capire perfettamente