No link, no party

Tralasciando quelli che di fatto sono fogli scandalistici al pari dei tabloid inglesi del peggior rango, quali Libero, la cui presenza sui social ed il sito web si commentano da soli, proviamo a vedere, al di là di proclami di circostanza e affermazioni pour cause quale sia lo stato dell’arte effettivo della presenza digitale dei principali quotidiani del nostro Paese: Corriere e Repubblica.

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Al Corsera, solo per stare alle cose più recenti, ne hanno inanellate parecchie di nefandezze [mi spiace per i tanti amici che vi lavorano ma non trovo altro termine per definire quel che è successo anche solo nelle ultime due settimane]. Infatti, non bastavano, tra le altre cose, le fidanzate da 300mila follower o l’ortopedia de noantri. Purtroppo sono arrivati anche fatti gravi come l’appropriazione [e la pubblicazione] del lavoro altrui [si veda thread su Twitter, ndr] a completare un quadro davvero desolante per quanto riguarda il quotidiano di Via solferino.

Mentre Michele Serra tuona contro gli editori online, non va meglio a proprio al giornale per cui scrive: Repubblica dove, anche se pare che finalmente abbiano abbandonato la terza colonna dei «boxini morbosi», i link ed il riconoscimento dei credits del lavoro giornalistico altrui sono ben lontani dall’essere la norma.

Lo si vede, ad esempio, sempre per stare agli ultimi giorni, con il pezzo sui tragici fatti di Berlino: «Camion sulla folla a Berlino, la notizia sui siti stranieri». L’articolo, anche se definirlo così è già un riconoscimento di valore eccessivo, diciamo, è costituito da una fotogallery delle home page di alcune delle principali fonti d’informazione internazionale, dalla CNN alla BBC, passando per tutte le principali testate tedesche e anche The Sun per non farsi mancare proprio nulla.

La fotogallery risponde a un bisogno, per così dire, di generare pagine viste, impression e dunque reddito. Abitudine che se ne frega altamente di user experience, nonostante le competenze non manchino all’interno del gruppo editoriale, a cominciare dal rispettabilissimo Badaloni.

Se ne frega, di fatto, del lettore, e se ne frega anche del malcapitato investitore pubblicitario.

La fotogallery in questione, che come detto si prende solamente ad esempio di uno dei mille casi che si potrebbero citare, è, anche, di una qualità, con screenshot sgranati, brutti, che personalmente mi vergognerei di pubblicare anche all’interno del modestissimo spazio di cui sono project manager: DataMediaHub, come noto.

E ancora, il pezzo in questione, non ha alcun valore giornalistico poiché sotto le 19 immagini non vi è neppure la traduzione dei contenuti riportando per tutte le 19 immagini sempre la stessa didascalia tanto generica quanto vacua.

Non solo è quanto sin qui detto, ma non rispetta neppure il lavoro dei colleghi, così come nel caso del «furtarello» del Corsera menzionato in apertura, poiché, come d’abitudine, ahimè, non vi è straccio di presenza di link alla fonte originale da cui è stato prelevato arbitrariamente il contenuto.

Si tratta di un’abitudine tutta italiana. Una prassi secondo la quale esistono regole non scritte ma di fatto rigorosamente applicate, purtroppo, di non linkare fonti esterne convinti che questo faccia scappare il lettore e altri pre-giudizi che si sono venuti a creare nell’ultimo decennio.

L’ipertesto è una parte fondamentale del Web, sia perché consente al lettore di approfondire che, soprattutto, a mio modo di vedere, perché è parte integrante e fondamentale di quello che è, o meglio dovrebbe essere la Rete: una serie di snodi, di connessioni di senso. Non a caso Manuel Castells parla di «Informazionalismo», affermando che «La Rete è un ecosistema sociale che, abbattendo le barriere spazio temporali, favorisce la comunicazione. La sua stessa natura è lo scambio d’informazioni».

Altro che «Trust Project» e relativo questionario che Repubblica propose non più tardi del maggio di quest’anno con dieci domande per identificare strumenti e criteri per «migliorare l’informazione online». Alle soglie del 2017, è questo, come sin qui descritto, nei fatti, l’approccio.

Non ci siamo, non ci siamo proprio. Non sorprende che gli italiani non vogliano pagare questa informazione. Anche se per fortuna qualcuno ci prova, ad oggi no link, no party.

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