Il risotto di Munari e il “problem solving”

C’è un’idea magico-romantica o forse solo superficiale nel mondo delle aziende che riguarda il magico mondo della risoluzione dei problemi.

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Una delle più belle letture che si possano fare sul tema, a mio avviso, è “Da cosa nasce cosa” di Bruno Munari (nell’immagine tratta da Wikipedia).

La parte più interessante ai fini di Wolf e del quaderno della progettazione (digitale) riguarda senz’altro il metodo.Nella visione magico-romantica (o superficiale) di cui sopra si tende a pensare che, una volta appurata l’esistenza di un problema e una volta definito il problema stesso, arriverà un’idea che porterà alla soluzione.

Munari schematizza questo percorso così.

Se non altro, diamo almeno per assodato che si sappia in giro che il problema non si risolverà da solo ma ci vorrà un intervento umano. Perché si sa, in giro, vero?

«Una volta definito il problema», scrive il designer «può sembrare a qualcuno che basti avere una buona idea per risolverlo automaticamente. Le cose non stanno proprio così, perché occorre definire il tipo di soluzione che si vuole raggiungere».

In altre parole, una volta definito il problema, occorrerà anche definire la soluzione. Che può essere, ad esempio:

– parziale
– provvisoria
– commerciale
– di fantasia
– definitiva
– approssimativa
– sofisticata
– semplice
– economica
– di breve periodo
– di lungo periodo

e via dicendo.

Definito il problema e definita la soluzione, possiamo stare certi che l’idea non arriverà da sola. E che quel blocchetto lì, quel pulsante, “IDEA”, scenderà parecchio nell’algoritmo decisionale che cerchiamo di costruire insieme a partire dalle idee del designer milanese.

1) Individuazione del problema (P). In questa fase si definisce per cosa vogliamo iniziare a progettare.

2) Definizione del problema (DP). Sembra una banalità, ma è fondamentale: il problema va sviscerato ed enunciato nel modo più chiaro possibile.

3) Individuazione delle Componenti del problema (CP). Una volta che il problema è stato definito, va smontato nelle sue componenti singole, raggruppabili in categorie. Questa operazione è tipica del metodo scientifico.

4) È altamente probabile – lo era nel 1981 quando Munari scrisse il suo libro, figuriamoci se non lo è quattro decenni dopo – che qualcuno si sia già scontrato con il problema che vogliamo risolvere. Allora, prima di procedere oltre, è il momento di Raccogliere i dati (RD). Scoprire che soluzioni siano già state adottate, quali sono da scartare, quali non utilizzeremo e per quali motivi, quanti tipi di soluzioni diverse esistano a ogni componente del problema.

5) I dati da soli non servono a niente. La fase di Analisi dei dati (AD) è importante quanto la raccolta dei dati stessi. Va fatta senza preconcetti, cercando di capire cosa si può desumere da tutto ciò che hanno fatto (o non hanno fatto) gli altri prima di noi.

6) Se abbiamo percorso correttamente i passaggi di cui sopra, ci troveremo finalmente a una fase in cui tutto quel che abbiamo compreso in termini di definizione del problema e di dati che lo riguardano diventa un paletto progettuale. Ci saranno paletti tecnici. Paletti economici. Paletti geografici, sociali, culturali. I paletti sono molto comodi. Perché guidano la Creatività (C). A differenza dell’idea intuitiva, infatti, la creatività si sviluppa nel dominio definito da questi paletti e non propone soluzioni irrealizzabili. Attenzione: questo non vuol dire negare il pensiero laterale. Vuol dire semplicemente dare alla creatività degli elementi con cui lavorare. Per dirla con Munari: «mentre l’idea è qualcosa che dovrebbe fornire la soluzione bella e pronta, la creatività tiene conto, prima di decidere per una soluzione, di tutte le operazioni necessarie che seguono l’analisi dei dati». I limiti alla creatività esistono sempre ed è importantissimo conoscerli.

7) A questo punto, il creativo dovrà cercare i prodotti materiali o le tecnologie che si possono mettere a disposizione del progetto (MT).

8) Una volta individuata la creatività e i materiali e le tecnologie per metterla all’opera, prima di procedere bisogna Sperimentare (SP) per avere informazioni nuove, per usare materiali o tecnologie o tecniche come non erano mai stati usati prima o come li avevano usati altri, a seconda di quel che avremo deciso di fare nelle altre fasi del nostro percorso di soluzione del problema.

9) Dopo gli esperimenti avremo finalmente un prototipo. Un modello (M) della possibile soluzione al problema.

10) Il modello andrà testato. E l’unico modo sensato per testarlo e – come insegna anche Steve Krugg nel suo “Don’t make me think” – per avere degli elementi per valicarlo o bocciarlo, è fare vedere il modello a una serie di persone che non abbiano pregiudizi sul medesimo, chiedendo loro di usarlo e di dare dei pareri quanto più sinceri possibile (questa parte non è così facile, ma insomma, è l’unico modo per capire se abbiamo ragione o no). È la Verifica (V).

11) A questo punto, finalmente, si progetta la messa in opera della soluzione: con tutto quel che abbiamo fatto possiamo arrivare a un progetto, a dei disegni costruttivi che poi possano sfociare nella soluzione.

Lo schema che segue ha definitivamente abbandonato l’idea di avere un’IDEA. Ed è molto più complesso.

Non è la soluzione a tutti i problemi.

Ma è il metodo per andare alla ricerca delle possibili soluzioni di qualsiasi problema. Ti pare poco?

Prendiamo ancora in prestito da Munari un esempio bellissimo (gli altri li trovi nel libro, che ha una serie di spunti, ispirazioni e idee che ti fanno venir voglia di tenertelo come manuale di creatività per sempre). La descrizione testuale è mia, il disegno che trovi in alce e l’idea tutti di Munari.

Il mio problema è che ho deciso di cucinare una ricetta che si chiama il riso verde (P).

Nella fattispecie, se esplicito correttamente il problema e lo definisco (DP), devo fare il riso verde con gli spinaci per quattro persone. Vedrai che di solito la fase di definizione del problema risponde ad alcune o tutte le famigerate 5W (who-what-where-when-why). In effetti è così anche in questo caso.

Da cosa è composto il problema? Questa forse è la fase meno intuitiva, per cominciare. Ci vuole un po’ di dimestichezza. In questo caso vedrai che viene naturale scomporre il riso venere negli ingredienti che mi servono per cucinare. Tendenzialmente, dunque, riso, spinaci, cipolla, olio, sale, pepe, brodo (CP). Nota come questo percorso sia molto simile, per esempio, a quello suggerito da un’altra designer creativa,  Ayse Birsel, autrice di Design the Life You Love: A Step-by-Step Guide to Building a Meaningful Future.

Ora devo raccogliere i dati (cosa che potrebbe portarmi anche a una ridefinizione della composizione del problema, in questo caso). Devo, cioè, vedere chi altri ha avuto e affrontato il problema (RD). Ci sono altre persone che hanno cucinato il riso verde? Probabilmente sì e probabilmente potrò trovare le loro esperienze in un libro di ricette. O in un video tutorial. O genericamente sul web.

Nell’analisi dei dati (AD) andrò a vedere queste ricette e a capire come posso metterle al servizio del mio riso verde. Per esempio, potrei scoprire che alcuni usano i pistacchi insieme agli spinaci. Altri i piselli. E via dicendo.

A questo punto tocca a me. Non voglio fare un riso verde come tutti gli altri, ci voglio mettere creatività, quindi voglio provare a mettere insieme tutto quel che ho trovato fin qui in maniera personale, nella maniera più giusta per me e per i miei ospiti (C).

Materiali e tecnologia? Naturalmente sono la scelta delle materie prime e delle pentole giuste (MT). Siccome non voglio che i miei ospiti siano cavie di un esperimento riuscito male, magari provo a cucinare prima il riso verde: è il mio modo di sperimentare (SP). Il risultato finale sarà il mio modello (M). Se non voglio essere troppo invadente lo assaggio da me, cercando di essere quanto più onesto possibile rispetto al risultato ottenuto (V): è la fase di verifica. Se è buono, il modo in cui l’ho fatto diventa il mio “disegno costruttivo”. E finalmente potrò servirlo ai miei ospiti quando li avrò invitati. Magari servendolo su un piatto di, come suggerisce Munari. Oppure sigillando il riso in 4 piccoli cartocci preparati con la carta da forno o l’alluminio.

Il problema può essere la nuova ricetta da cucinare o un nuovo sito da fare, una campagna di comunicazione, la soluzione del dilemma della sostenibilità del giornalismo (hah!), la gestione di un gruppo di lavoro, la progettazione di un paywall, una nuova newsletter, una app, una mostra, un’esposizione, ma anche prodotti materiali, fisici, di ogni genere.

Rispetto a questa sequenza, che ti suggerisco di introiettare come metodo, ci sono alcune precisazioni che vorrei fare per evitare che ci si illuda rispetto al suo determinismo.

Anche se Munari non ce lo dice esplicitamente:

– la ricorsività e i feedback. Anche se ci sono le freccine che avanzano in una sola direzione, ciascuna fase ha influenze anche sulle precedenti, a meno che non si voglia procedere con i paraocchi e far finta che il mondo in cui ci muoviamo sia fatto di compartimenti stagni. Il percorso, peraltro, non si conclude se vogliamo far evolvere il progetto, ma diventa un’iterazione (con pesi e tempi diversi dedicati alle varie fasi)

– l’esperienza è fondamentale per rendere i tempi non biblici. Se mi metto a progettare una piscina con palestra e sauna ci metto sicuramente di più che non a progettare un prodotto editoriale, perché quest’ultima cosa la faccio da molto tempo e fa già parte delle mie competenze. Detto questo, avere un metodo chiaro mi aiuta anche ad affrontare nuove sfide

– il viaggio richiede una sapiente progettazione anche del percorso che le persone che vogliamo aiutare con le nostre soluzioni dovranno compiere e dosare bene i momenti che devono andar via lisci da quelli che invece richiedono una frizione. Ma in realtà l’esempio molto materico del riso funziona comunque anche per capire questo concetto: se servi il risotto a un bimbo di due anni e mezzo, ti assicuro che dovrai inserire una frizione fra il momento in cui gli servi il risotto e quello in cui lo ingurgiterà affamato, perché il risotto scotterà e lui rischierà di scottarsi. Lo stesso vale per il modo in cui le persone useranno qualsiasi cosa avrai progettato seguendo questo metodo.