KPI: come usarli davvero per il cambiamento?

Qualche tempo fa ho condotto una serie di interviste al CiMeC, il centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Rovereto. Una delle tante eccellenze italiane, dove, fra le altre cose, si svolgono anche attività di ricerca pura.

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Cioè, quell’attività umana che ha come obiettivo primario l’avanzamento della conoscenza.

Fra i temi delle conversazioni, ad un certo punto, è venuta fuori una curiosa similitudine fra il giornalismo che fa clickbait e la letteratura scientifica. Già: può capitare che un gruppo di ricerca debba lavorare un po’ di fino su titoli e scrittura per enfatizzare certi risultati, ottenere pubblicazioni e proseguire così con il reperimento dei fondi per la ricerca stessa.

Questo avviene perché uno dei KPI per l’assegnazione di fondi a volte è il numero di pubblicazioni su riviste scientifiche che si riescono a ottenere in un certo lasso di tempo.

Siamo di fronte a uno di quei casi da “effetto cobra” che abbiamo visto raccontando i problemi della misurazione attraverso la definizione di KPI.

Come si fa a misurare attraverso KPI la ricerca pura? Come si fa a farlo con gruppi di ricerca e sviluppo? Come si misura, per esempio, il cambiamento culturale o la gestione della conoscenza all’interno di un’organizzazione o di un’azienda?

Proviamo a rispondere a quest’ultima domanda. Perché il cambiamento aziendale in termini di conoscenza è probabilmente una delle cose che si avvicina di più alla ricerca pura.

Per chi ama le tabelle e i punti fermi facili da comprendere e adottare, qui c’è un esempio pratico, elaborato da Micro Focus, multinazionale del software, per misurare la gestione della conoscenza in azienda (knowledge management, da qui in poi KM). La traduzione è del sottoscritto.

KPI

Descrizione

Numero di documenti di KM creati

Il numero totale di documenti di KM nella tua organizzazione crescerà nel tempo; tuttavia, vecchi documenti di KM diventeranno gradualmente obsoleti e dovranno essere rimossi. Monitorare il numero di nuovi documenti creato aiuta a determinare il tasso di crescita ottimale in un dato periodo di tempo.

Numero di volte in cui un documento di KM è aperto

Un documento utile viene aperto spesso. Usa questo indicatore per capire quali documenti sono i più o i meno utili.

Numero di documenti di KM usati per risolvere interazioni

I documenti di KM dovrebbero condurre a soluzioni. Monitora il numero di documenti che portano soluzioni per determinare il modo in cui il tuo gruppo di lavoro riesce ad accedere e riutilizzare la conoscenza per risolvere situazioni che richiedono interazione.

Numero di documenti utilizzati per risolvere problemi

Monitora il numero di documenti che conducono alla risoluzione di incidenti.

Numero di documenti revisionati

Per assicurarti che la pubblicazione di documenti sia efficace, monitora il numero di documenti che non sono stati revisionati

Se questa tabella ti rassicura e ti sembra interessante, lo capisco. Ma posso allo stesso modo assicurarti che anche se questi indicatori venissero monitorati nel tempo e curati come dei bonsai non sarebbero in alcun modo indicativi di un modo sano di gestire la conoscenza in azienda.

Infatti non misurano in alcun modo la conoscenza tacita e non misurano nemmeno come questa conoscenza si diffonde attraverso l’azienda.

Guai, poi, se le persone che ne fanno parte dovessero avere la sensazione che in qualche modo le loro performance possano essere giudicate, per esempio, dalla quantità di volte in cui aprono un documento. Finiranno per farlo come parte del loro lavoro.

Il modello Nonaka (elaborato nel 1995) è ancora uno dei più accreditati oggi, per questo tipo di misurazioni. Insieme a Hirotaka Takeuchi ha scritto The knowledge creating company. All’interno di questo libro, si sviluppa il modello SECI, che si disegna così.

 

Prima di parlarne, c’è una cosa che devi sapere rispetto a questo schema. Richiede, per essere innescato, la presenza di un elemento che non ha nulla a che vedere con il misurabile. Si chiama caos creativo. È una situazione di crisi (reale o indotta) o di fluttuazione (idem) che serve inevitabilmente per far partire qualsiasi tipo di cambiamento e di creazione di una nuova conoscenza condivisa nell’azienda.
Insieme all’intenzionalità (cioè, in parole povere, bisogna aver voglia di raggiungere obiettivi o di cambiare e la conoscenza che si genera va introiettata da tutti secondo questa intenzionalità), all’autonomia (cioè alla libertà del singolo di esprimersi), alla ridondanza (ripetere le informazioni condivise, anche in surplus) e alla varietà minima richiesta (cioè l’induzione alla ricerca della massima varietà informativa con il minor numero di passaggi possibili), il caos creativo è una delle cinque condizioni necessarie per favorire la diffusione della conoscenza.

In altre parole, ci dev’essere la voglia di farlo, ciascuno dev’essere responsabilizzato rispetto agli obiettivi e reso autonomo; le informazioni devono essere raccolte anche in maniera ripetitiva e devono essere quanto più possibile variegate e poi ci vuole lo stimolo per farlo. Ecco perché il contesto di crisi reale di solito è quello in cui poi o si soccombe o si cambia.

Nella diffusione della conoscenza, i percorsi raccontati nello schema sono:
– socializzazione: le persone che hanno una conoscenza tacita, implicita, devono comunicarla e condividere le loro esperienze
– esternalizzazione: la conoscenza tacita, implicita, va formalizzata in documenti e sviluppando modelli di lavoro. Così, la conoscenza tacita si trasforma in esplicita
– combinazione: una volta che la conoscenza è diventata esplicita, le varie conoscenze si possono combinare
– internalizzazione: la conoscenza esplicita diventa parte integrante del normale comportamento del singolo e dunque poi dell’organizzazione
La spirale indica due cose:
– che il processo è reiterabile e va reiterato
– che il processo, se avviene correttamente, porta con sé miglioramenti a ogni ciclo
Misurare il reale impatto di queste fasi è complesso.
Ma allora stai cercando di dirmi che devo rinunciare a misurare?

No. Sto cercando di dirti, per prima cosa, che nessuno ha trovato un modo efficace di misurare davvero l’intangibile se non su scale pluriannuali e per misurazioni empiriche.

Questo significa che è meglio concentrarsi sull’implementazione corretta di alcuni processi anziché sull’ossessione di controllarli. L’effetto serendipity esiste. La conoscenza non serve a niente se non percola in tutti gli anfratti aziendali.

Potrai misurare l’efficacia del metodo SECI soprattutto rispetto agli output che verranno creati, anche se naturalmente potrai inventarti dei metodi di verifica della diffusione della diffusione della conoscenza nella tua organizzazione. Ma per quanto inventerai, non è facendo test i trovando metriche nuove che la misurerai. Lo farai guardando l’applicazione pratica di questa conoscenza.

E per le cose più tangibili?

Ci sono sicuramente attività misurabili e da misurare.
I passi più sensati per farlo, secondo la letteratura più contemporanea e aperta, sono questi:

  • Definisci correttamente l’obiettivo. Questo è un elemento essenziale, dal quale non si può prescindere. Che cosa si vuole ottenere con una determinata attività? Questo ti aiuterà a definire davvero i KPI.
  • Collega esplicitamente le metriche all’obiettivo
  • Concentrati sulle tendenze anziché sui valori assoluti
  • Usa brevi periodi di tracciamento
  • Cambia le metriche quando non portano più cambiamento

Esploreremo le varie sezioni.

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(AP)