Frantumaglie Wolf. 186

Le notizie false – «Mark Zuckerberg, morto all’età di 32 anni, ha negato che Facebook abbia un problema con le notizie false».

È di un pezzo di The Shovels che contiene una cosa falsa (Mark non è morto a 32 anni) e una dichiarazione vera, che però corrisponde a un mezzo falso: Facebook ha un problema con le notizie false e sta diventando una vera e propria ossessione.

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Solo che, piuttosto di evitare di tenersi anche il traffico di tutte le notizie false – stiamo parlando, attenzione, di siti che deliberatamente si definiscono «satirici» e che producono deliberatamente notizie false per far soldi. Impedire ai loro pezzi di esplodere algoritmicamente non sarebbe certo censura: c’è molto di peggio – e piuttosto di evitare di prendersi i soldi dei fake-makers che magari pagano anche campagne sponsorizzate per farti atterrare sulle pagine piene di banner e senza notizie (chiamasi arbitraggio), ecco che Facebook produce dieci suggerimenti per individuare le notizie false.

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Il decalogo è stato prodotto in collaborazione con la Fondazione Mondo Digitale. Per molti possono sembrare banalità. Forse ce n’è davvero bisogno. Ma, come al solito, mi permetto di dubitare che questo tipo di contenuti possa venir letto da chi ha il problema di crederci. Parlare ai convertiti. Questo è quel che succede con i messaggi «educativi».

Teen team

Su The Information c’è una bellissima ricostruzione della guerra di Facebook contro Snapchat che spiega molto bene le ragioni dell’interesse di Zuckerberg per la creatura di Evan Spiegel da molti immotivatamente snobbata (nonostante i sacrosanti dubbi circa la sua possibilità reale di crescere e trovare un equilibrio). In questa ricostruzione si racconta che la clonazione progressiva delle funzionalità di Snap – che ormai invade tutte le app Facebook, pur avendo portato reali benefici solamente a Instagram, al momento – nasce dal terrore suscitato dal fatto che le condivisioni personali di contenuti prodotti esclusivamente per Facebook (non articoli che portano fuori dalla piattaforma. Ricordi la convenienza specifica?) e personali fossero in drastica diminuzione.

Così, Zuckerberg ha creato un teen team per comprendere al meglio le funzionalità di Snap, quelle più gradite al pubblico più giovane, che lo utilizza in maggioranza e che prima o poi invecchierà. Per quanto il processo di clonazione sia stato ridicolo, è da comprendere attentamente negli intenti e nella necessità. Cioè: parlare ai più giovani. Tu quando comincerai a farlo? (No, non significa per forza che devi usare Snapchat. Però, se ti viene la curiosità di provarci, forse è bene leggerti il numero 182 di Wolf, in cui, nella rubrica fix, Filippo Pretolani spiega come dovremmo aggiustare la nostra percezione e il nostro approccio a Snapchat).

Si poteva fare più semplice

Ci stiamo occupando da vicino della nascita e dell’evoluzione della nuova membership di Medium per tanti motivi. Uno di questi motivi è che è molto importante da seguire perché abbiamo l’occasione di vedere come funziona il lancio di un prodotto a pagamento da parte di una grande piattaforma e come rispondono gli abbonati senza essere coinvolti emotivamente. Quindi, il mio consiglio è di seguire attentamente quel che sta succedendo. In generale, anche per imparare lezioni su lanci di prodotto digitali (e non). Ecco, uno dei pezzi più belli che ho letto sul tema è questo, che ha apposta un titolo clickbait: {27}Getting paid to write on Medium. L’autrice spiega che trova frustrante pagare 5$ a Medium senza sapere a chi andranno i suoi soldi. Dice che vorrebbe sostenere solo gli autori che la ispirano. E consiglia di fare così.

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Cioè di consentire alle persone di pagare direttamente gli autori, senza doversi per forza sorbire selezioni di argomenti che magari non ti interessano o autori che proprio non ti piacciono. Ecco. Si può sempre fare più semplice. E di solito è l’idea vincente.

Stadio di proprietà

Forbes, Hearst e il New York Times hanno smesso di usare gli Instant Articles di Facebook. LittleThings mette solo il 20% dei propri contenuti su Facebook sotto forma di Instant Articles. Nel numero 48 definivo, nella guida di Wolf, gli Instant Articlescome una nuova trappola di Facebook per editori. Ora hanno scoperto anche i big che:

  • non si monetizza bene
  • i lettori si iscrivono più volentieri al tuo sito se atterrano direttamente sul tuo sito

Per quest’ultimo motivo, Facebook ha rilasciato per gli IA la possibilità di aggiungere un invito all’azione personalizzato (ad esempio: iscriviti alla newsletter).

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Non ci voleva un genio per capire che pubblicare su piattaforme terze non ti consente di gestire al meglio i tuoi lettori e la monetizzazione dei tuoi contenuti e quindi non avevo alcun merito nell’essere scettico nei confronti degli IA usati come li volevano usare alcuni (cioè, per monetizzare il contenuto stesso).

Gli IA – come tutti gli strumenti che consentono di «bucare» algoritmi come quello di Facebook – vanno usati con un obiettivo ben preciso. Che non può essere quello di monetizzare quegli articoli lì. Né quello di portarsi a casa iscritti, visto che giacciono sempre, su Facebook, i tuoi lettori.

L’unico obiettivo sensato può essere la circolazione del marchio e/o di quel particolare contenuto. Per il resto, ricordati di portare i tuoi lettori, i tuoi clienti, nel tuo stadio di proprietà.

Uber è cattivo?

C’è una vera e propria tempesta culturale che si è abbatutta contro Uber. E non riguarda la lotta contro i taxisti tradizionali. C’è stato il caso di molestie sessuali contro un’ex dipendente cui sono seguite le scuse della società per non aver saputo tutelare le differenze sul posto di lavoro. Il video del fondatore, Travis, che litiga con un tassista su un taxi (e poi gli tocca scusarsi). Poco fa The Information se ne esce con un altro piccolo scoop.

Uber ha usato per molto tempo un software chiamato Hell che monitora i guidatori che usano sia Uber sia Lyft e fa in modo di premiare con bonus quelli meno fedeli a Uber per indurli a non usare più Lyft. «Non è chiaro se qualcuno in Uber abbia mai quantificato quanto fosse utile Hell, ma il programma aveva informazioni sul network di Lyft in tutti gli USA. Durante le riunioni con i piccoli gruppi di persone coinvolti in Hell, Kalanick avrebbe spesso fatto complimenti al team e spiegato quanto fosse perfetto per la cultura di Uber, che prevede di affrettarsi a vincere», si legge nel pezzo. Bad company?