Fiorello, Bitcoin e mio cuggino

Il Direttore di Wolf sostiene da tempo una tesi non infondata che qui enuncio nuovamente: in Italia le keyword diventano veramente mainstream solo dopo essere usate davanti al grande pubblico della televisione. Un argomento di nicchia segue una sua parabola di popolarità in rete, ma la consacrazione avviene una volta in cui il grande pubblico televisivo, la generazione del telecomando, la digita su Google. È la consacrazione, il decollo definitivo verso il successo.

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Non mi ha stupito dunque leggere su Altro Spettacolo una sua nota su Fiorello e la keyword Bitcoin:

Se le cose vanno come al solito, con la tv macchina di keyword, di parole chiave che gli spettatori, con un riflesso pavloviano, vanno a cercare su Google, immagino una serie di ricerce del tipo “bitcoin sanremo”. O magari, per i più evoluti, cose tipo “che cosa sono i Bitcoin”.

Ma quale livello di consapevolezza potrà mai avere il pubblico di Sanremo rispetto a questo argomento?

L’ottimo Achille Corea correggeva un po’ il tiro sul nostro gruppo Facebook, affermando invece che dal suo personalissimo osservatorio sul paese reale si sente di dire che bitcoin è parola molto usata e non da ieri.

Facciamo un po’ d’ordine. Innanzitutto le due cose possono convivere benissimo.

È vero che la difficoltà intrinseca dell’argomento Bitcoin e criptovalute dovrebbe tener lontano l’italiano medio. Almeno per me, ci sono davvero pochi dubbi sul fatto che in un paese che spicca per analfabetismo funzionale meno di due italiani su dieci sembrano in grado di comprendere la definizione di wikipedia e di riraccontarla con parole proprie.

Tuttavia un conto è comprendere un concetto, tutt’altra cosa è scommettere su qualunque cosa si muova, compreso una criptovaluta. Esattamente come posso utilizzare Facebook ignorando bellamente come funzionino gli algoritmi che rimescolano il palinsesto della mia timeline, l’italiano medio può benissimo investire qualche decina di (centinaia se non di migliaia di) euro su un titolo finanziario molto volatile.

Una scommessa, questo è di fatto bitcoin per una gran parte degli scommettitori che ne hanno acquistati un po’.

Nel numero scorso pezzo su Wolf ho fornito il dato secondo cui tra dicembre e gennaio scorso circa un milione di persone hanno acquistato bitcoin o altre criptovalute per la prima volta.

È la prima invasione di campo significativa di un pubblico non troppo esperto su questo mercato non regolamentato.
Non dico che chi ci abbia investito / scommesso prima fosse necessariamente un esperto. Dico solo che entrare a far parte di un qualunque gruppo di persone prima che sia mainstream richiede quanto meno una certa abnegazione, un minimo di sbattimento, un pizzico di curiosità oltre la media. Un po’ come conoscere un gruppo musicale prima che diventi famoso.

Noi italiani siamo stati tutti fascisti fino a 1945 e tutti antifascisti dal 1946 in avanti. Dunque forse ha ragione Achille: dopo Sanremo, tutti noi italiani d’italia conosciamo bitcoin, anzi da sempre, ma quale Sanremo e Sanremo.

Secondo Wikipedia ci sono 1384 criptovalute censite nel mondo al 7 gennaio 2018.

Solo una è mainstream (Bitcoin), una manciata hanno scollinato e tutte le altre mostrano i più ampi margini di crescita e di rischio. Dunque anche di potenziale guadagno.

Almeno il 90% di queste criptovalute smetteranno di esistere una volta in cui il mercato sarà maturo, regolamentato e consistente, in quanlunque modo vorranno tradursi questi termini.

Questo implica che le criptovalute siano una bolla speculativa?

Certamente sì, nel senso che mostrano tutte le caratteristiche necessarie a garantire i più ampi margini di alea e di scommessa.
Il fatto che le criptovalute siano una bolla ci autorizza a liquidare il fenomeno come passeggero?

Assolutamente no. Senza scomodare i tulipani olandesi o la compagnia delle Indie occidentali di John Law (una storia bellissima, la conoscete?), limitiamoci al passato recente e a una sua narrazione tipica: alla bolla della new economy. Parole che fanno un po’ sorridere a ripensarci, ma che non dobbiamo rinnegare per forza.

L’entusiasmo con cui alcuni risparmiatori parlavano di Tiscali (delle azioni Tiscali) alla fine degli anni ’90 inizio 2000 non è affatto diverso dall’entusiasmo di chi si sta arricchendo negli ultimi mesi con Bitcoin. Le quotazioni senza senso dei collocamenti in borsa o delle fusioni e acquisizioni delle aziende protagonite di quella prima ondata di internet ha condotto ragionevolmente al crollo e/o alla normalizzazione del valore di quei titoli e a una scrematura naturale delle aziende che vi avevano prosperato.

Esattamente come lo scoppio della bolla della new economy non ha portato allo smantellamento di Internet e dei suoi processi di valorizzazione, il prevedibile crollo del valore e la probabile scomparsa di molte delle attuali e prossime criptovalute non significa di per sé che la loro portata economico-finanziaria sia transitoria. Nessun osservatore o analista in buona fede sa esattamente cosa potrà accadere nei prossimi anni. Né se sarà Bitcoin o Ethereum o un’altra qualunque possibile declinazione della blockchain a imporsi come standard monetario.

Possiamo però affermare con relativa serenità che la lezione impartita agli economisti, ai regolamentatori degli Stati nazionli e delle banche centrali avrà effetti duraturi. Qui ad esempio un paper (in pdf) abbastanza equilibrato della Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca delle banche centrali, che ne prende atto.

Il capitalismo per continuare a esistere dovrà evolversi. Come qualunque sistema aperto dovrà ibridare al suo interno le nuove forme di valorizzazione e di monetizzazione dell’economia e della società. È quello che ha sempre fatto. È quello che continuerà a fare finché esisterà.

Nella prossima puntata parleremo delle ICO in criptovalute come nuova tendenza del fund raising.

Intanto uno Spoiler alert: Mi ha detto mio cuggino che Bitcoin una volta è morto.