E mostrerrogli la Luna nel pozzo

«Non credo nella Luna; per me è solo il retro del sole»

(Inserviente)

Secondo Christian Salmon, la nostra epoca è caratterizzata non tanto da uno lotta tra ideologie o tra potenze geopolitiche, ma da uno scontro tra narrazioni.

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Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata.

Lo storytelling percorre il cammino in senso inverso: incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico di sceneggiati e stories. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i flussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione. […]

Lo storytelling costruisce ingranaggi narrativi seguendo i quali gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a conformarsi a determinati standard.

Dimentichiamoci per un attimo la polemica sulla storytelling e su un suo uso più o meno manipolatorio.

Anche perché su Wolf abbiamo già preso posizione in modo piuttosto netto sul tema, inquadrando la storytelling come strumento in un metodo, il metodo Fabula di Mafe de Baggis. Qui invece propongo di fare un passo indietro, per concentraci sul puro meccanismo con cui l’essere umano per costruzione accoglie la narrazione come via alla conoscenza del mondo.

Commentando alle Venice Sessions nel marzo del 2009 il libro di Salmon sulla Storytelling, Alessandro Baricco si sofferma su un aspetto preciso:

«in un confronto tra storie, collettivamente noi decidiamo di aderire a una storia piuttosto che a un’altra e questa adesione genera delle conseguenze».

La narrazione, quando interviene in sostituzione di altri resoconti del vero, fa perdere a tutti noi collettivamente un coefficiente di precisione. Quando noi optiamo per la narrazione, cosa facciamo istintivamente? Rinunciamo a una complessità, che era reale, in cambio di una velocità, di una capacità di trasmissione.

Quindi quello che noi perdiamo è un reale dominio della complessità del reale. Le narrazioni sono, per loro natura, degli animali sintetici (tra dieci elementi ne scelgono tre, oppure ne scelgono uno esterno che ne restituisce almeno sei) e per sua natura mettono in linea sinteticamente degli elementi del reale.

Voi capite che se prendete la vostra storia affettiva, la storia della vostra azienda o del vostro matrimonio, o ancora la situazione politica del vostro paese e lo traducete in storia, voi lo costringete in uno schema che è oggettivamente riduttivo.

È uno schema che funziona a vari livelli. C’è una parte di lavoro che stanno facendo Mafe e Alberto sul tema delle fake news che inizia con la spiegazione di come si costruisce una fake news. O meglio, come si costruisce un racconto da un punto di vista parziale.Ci sono le slide di Mafe: Come si costruisce una bufala?

Dal canto suo, Alberto, parlando a giornalisti, ha scelto di usare un universo narrativo, quello di Star Wars, per mostrare come, scelti alcuni elementi, posso costruire una narrazione parallela che scredita Luke Skywalker, per poi arrivare a spiegare che si fa questo tipo di operazioni anche in buona fede e anche nel giornalismo.

Cosa ci spinge a fare ciò? (Baricco a partire dagli anni ’90 inizia per sua stessa ammissione a farlo in modo seriale).

«Probabilmente lo facciamo istintivamente per reagire a un sapere e a una sorta di status intellettuale in cui sentivo la mancanza totale di necessità e di nesso coi bisogni reali delle persone.

A partire dalla scuola, Il mondo era fatto di risposte di cui non si capivano le domande. Il nesso tra domande è risposte è la prima cellula della narrazione».

Quindi, il mondo è complesso e ci viene propinato come serie di risposte di cui non intravediamo la domanda. Noi per reazione rinunciamo alla complessità, alla oscurità, in favore di una sua immediata lettura.

Anzi, per essere più precisi, l’immediatezza diventa lettura. Rinunciamo alla complessità del reale in cambio di una accessibilità in cui io più comodamente riesco a proiettarmi.

Di un fatto reale prendiamo per buono il riflesso che il nostro cervello e la nostra pancia se ne sono fatti nell’istante.

Qualunque narratologo, qualunque neuroscienziato potranno mostrarvi come, di fronte a una storia, noi umani d’acchito tendiamo a sospendere il giudizio e addirittura l’incredulità. Un fenomeno molto evidente al cinema: quando un film è fatto bene, quando cioè una narrazione è immersiva, noi subito accettiamo che Superman voli, che le SS non abbiano mira o che gli indiani non riescano mai, ma dico mai, a uccidere un cow-boy che fosse uno.

Le storie sono potenti proprio perché, per come sono costruite, tendono a entrare nel porto sicuro del nostro cervello come in una bambagia. Certo: non tutte le storie piacciono a tutti e comunque è un meccanismo antico quanto il mondo.

Secondo Yuval Noah Harari, l’essere umano si distingue dalle altre forme di vita associata proprio per come è riuscito a colonizzare il pianeta con le storie. Credere in un dio è una grande narrazione ad uso dell’immaginario collettivo e genera guerre di religione. Non sappiamo se dio esista ma le guerre di religione certamente sì.

Probabilmente Caino ha ucciso Abele credendo a una storia che ha raccontato a sé stesso. Poi, su su nei secoli, il giochino è continuato: le crociate, la Compagnia delle Indie Orientali, l’oro alla patria. Una storia senza tempo, ma forse mai come nella contemporaneità è stato possibile progettare a tavolino una storia pronta per essere abbracciata chirurgicamente dal microtarget di persone per cui è stata concepita.

Il meccanismo delle fake news e l’adesione di una buona fetta dell’elettorato a una determinata narrazione si basa fondamentalmente su questo tipo di meccanismo. Andiamo a riprenderci, se vogliamo, la conversazione che si era svolta sul gruppo di Facebook di Wolf: uno dei criteri che ci eravamo scelti per capire quando si è di fronte a una bufala è il «troppo bello per essere vero».

Non c’è niente da fare: le nostre obiezioni razionali sono totalmente inefficaci. Per dirla con Baricco, le narrazioni sono infrangibili rispetto ai concetti di vero / falso.

Nella nostra bolla un dato interpretabile viene preso come un fatto. Un rigore fischiato a favore della nostra squadra del cuore tenderà a essere più giusto di uno identico che ci venisse fischiato contro e i nostri peccatucci sono meno gravi di quelli identici della controparte. È a livello razionale che poi ciascuno di noi può decidere di essere obiettivo, ma di base il nostro cervello avrebbe già scelto istantaneamente il pezzo che gli piace.

Gli esempi si sprecano. Non importa se nel contratto di governo non c’è alcun accenno all’uscita dell’Italia dall’euro, così come non importa se la chiusura dei porti era una misura già ventilata e proposta dal Partito Democratico qualche mese fa.

Tanto è vero che il dato che quando la nave Aquarius attraccherà, auspicabilmente, sana e salva a Valencia e non in Italia, questo evento sarà indifferentemente interpretabile come un capolavoro politico del Ministro Salvini (che finalmente è riuscito a far sentire la voce dell’Italia nel consesso europeo) oppure se preferite l’ennesima conferma del razzismo del governo leghista nonché un atto disumano in omissione di soccorso, contrario a ogni rispetto della vita quanto più è fragile e quando più è in pericolo.

Tutto questo ha una serie di corollari non simpatici.

  1. Corollario «ma che vuoi se tutto non è come sei» (copyright Pino Daniele)
    Se controbattergli in faccia la verità vi sembra una buona strategia per far aprire gli occhi a chi sta abboccando a una storia vi state sbagliando di grosso. Qualsiasi contenuto (compreso quello «vero» o presunto tale) cede il passo certamente alla relazione. Cioè al fatto che «quella roba gliela state dicendo voi che non capite niente, loro sì invece». Avete un buon argomento? Malissimo, non vi crederanno. La semiotica (anche la più inconsulta) serve esattamente al fenomeno contrario: a unire i puntini di qualsiasi cosa per corroborare qualunque tesi, per quanto campata in aria o astrusa possa sembrarvi.
  2.  Corollario «ovvio non ovvio (GAC)»
    Più alta è la disintermediazione della politica più io cittadino qualunque mi identifico con l’uomo al potere.
    Io cittadino qualunque del 1975 non mi sarei mai sognato né sentito in grado di sostituire un Aldo Moro o un Sandro Pertini o un Ugo La Malfa. Oggi io potrei «facilmente» prendere il posto di Giuseppe Conte o di Luigi Di Maio o persino di Matteo Salvini. La distanza dai cittadini è minima. Un tempo invece, per dirla con zio Pino, «La Politica vera aveva politici veri» (compresi i mediocri).
    Non esprimiamo più una classe dirigente: ci sostituiamo a essa.
    Meno ego, più proiezione. Sarà un caso che la mania di protagonismo di Matteo Renzi gli abbia progressivamente ma irreversibilmente inimicato il consenso popolare?
  3. Corollario del Corollario
    Una narrazione che tesse le lodi della Superintelligenza, dell’intelligenza artificiale, del nuovo digital human, al momento è inspendibile nel dibattito politico attuale. Deve piuttosto essere il veicolo per progettare un nuovo format per la narrazione.
  4. Corollario della real politik.
    Seguendo il politologo Lorenzo Castellani, che a sua volta cita Alfio Mastropaolo, ora «la democrazia liberale è null’altro che una tecnologia del potere trattante, utile a coordinare, prescrivere, condizionare, orientare la condotta d’individui e gruppi sociali, quindi a regolare la vita collettiva e a dirimere conflitti che la agitano».
    Una delle possibili forme di governo e non dunque un dogma ideologico da perseguire con qualsiasi mezzo.
    Tradotto, tocca confrontarsi col livello di democrazia effettivo e col suo spread qualitativo effettivo verso l’alto e verso il basso. Scomunicare l’avversario politico i turno da una posizione di inferiorità non serve a salvare la democrazia.
  5. Corollario «anche tu CT dell’opposizione»
    Se per svegliare il prossimo dall’ipnosi delle Fake News o dalla nuova appartenenza politica non serve la verità cosa possiamo fare?
    Secondo il Baricco veneziano serve trovare una narrazione altra, totalmente sottratta a quella dominante, che renda inservibile il presente.
    Platone s’inventò il dialogo socratico, i matematici russi i Bot e le Fake News di nuova generazione. Tu, noi, qualcuno adesso deve escogitare un nuovo format che superi il conflitto e la polarizzazione politica rendendola creepy.
    Una cosa che non risponda alla categoria consenso vs dissenso.
    Una roba che passi per la meta-sospensione della sospensione dell’incredulità. Vi ricordate quel pensatore che diceva: «qualunque cosa tu faccia io posso farla META»?
    Non so esattamente cos’è e come potrebbe funzionare questo nuovo format.
    Ma ho il forte sospetto che faccia appello alla scheggia più umana nascosta nella nostra corteccia cerebrale.

Alcuni fisici quantistici pensano che la struttura del DNA non sia la forma primigenia della vita. Prima del DNA ci sarebbe cioè la struttura frattale che genera ogni organismo vivente. È la forma che regola il sottile rapporto tra unicità e ripetibilità della cosa creata. E anche tra libertà e necessità: essere necessariamente esseri umani come tutti gli altri ma unici e irripetibili nella singola individualità.

Prendiamola come ipotesi strategica: un nuovo format pre-narrativo o meta-narrativo che sia una sorta di istinto di sopravvivenza che scatti una frazione di secondo prima della sospensione dell’incredulità.

C’è vita prima della vita delle storie?

Non ci credo. Si avvera.